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    Home»Attualità»I Beatles e l’istituto Tavistock: storia di una programmazione e di una rivoluzione culturale
    Attualità

    I Beatles e l’istituto Tavistock: storia di una programmazione e di una rivoluzione culturale

    28 Luglio 202514 Mins Read
    I Beatles e l’istituto Tavistock - storia di una programmazione e di una rivoluzione culturale
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    I quattro ragazzi di Liverpool cantavano in Yesterday che soltanto ieri i loro problemi sembravano così lontani, e che avrebbero gradito restare lì, nel passato, dove altri eventi non gli avrebbero portato alcun trauma.

    Eppure la storia di questo gruppo, i famosissimi Beatles, ha cambiato la vita di intere generazioni e a guardare bene il futuro che hanno subito queste è stato molto peggiore del passato.

    I Beatles hanno cambiato la società.

    Se c’era un mondo prima di questo leggendario gruppo musicale, ce n’è uno che è venuto dopo molto diverso, cambiato, molto più nichilista e relativista di quello che esisteva prima della rivoluzione del 1968.

    Gli architetti “morali” di quella stagione avevano in mente una vera e propria destrutturazione della società.

    Si voleva accompagnare il mondo Occidentale verso una demoralizzazione o meglio verso una rinuncia dei propri valori per spingersi in un territorio estremamente degradato, nel quale l’uomo perde ogni ragione di vita, e si lascia andare a qualsiasi istinto, anche il più basso e più degenerato.

    Le origini della demoralizzazione: la scuola di Francoforte

    E’ impossibile infatti comprendere come nascono i Beatles, se non si comprende che questo gruppo è servito principalmente per attuale la rivoluzione culturale concepita dai filosofi della scuola di Francoforte, un gruppo di intellettuali tedeschi di origine ebraica che già aveva iniziato a trasformare la società tedesca al tempo della famigerata repubblica di Weimar.

    Mar Horkeheimer e Theodor Adorno, i fondatori della scuola di Francoforte

    All’epoca, la Germania era semplicemente in rovina. Una volta che il secondo reich tedesco è andato incontro alla sua fine dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale, la Germania fu semplicemente umiliata e sottoposta a delle pesantissime sanzioni economiche che sono state in larga parte la causa della famigerata iperinflazione che si vide nel Paese negli anni’20.

    Il degrado in quel tempo era letteralmente ovunque. Si diffondeva sempre di più il traffico di esseri umani e la pedofilia era diventata un mezzo per sfamare le famiglie che ormai distrutte dalla crisi economica non sapevano più cosa fare per portare il cibo sulla tavola.

    E’ in tale degrado che si sono affermati uomini come il famigerato Magnus Hirschfeld, medico di origine ebraica che può considerarsi a tutti gli effetti come il padre del moderno gender, e il primo a concepire il cosiddetto “cambio di sesso” avvenuto su un povero trans negli anni’30, che poi perderà la vita in seguito all’operazione praticata dal novello Frankenstein queer.

    Hirschfeld aveva un “istituto”, per così dire, della scienza sessuale.

    In tale luogo c’erano libri sulla pedofilia, l’omosessualità, l’incesto, e ogni altra aberrazione che potesse portare a distruggere la morale cristiana della società tedesca ed europea e trascinarla così in un vortice di perdizione morale.

    Un personaggio di simile “fattura” non poteva non andare d’accordo con i filosofi della scuola di Francoforte che riaprirono il suo istituto dopo la seconda guerra mondiale per affidarlo a Volkmar Sigusch.

    Non ci si deve sorprendere se esistevano delle affinità elettive, per così dire, tra Hirschfeld e questa “scuola di pensiero” perché i filosofi quali Adorno e Horkheimer avevano concepito la loro corrente filosofica per dei fini non affatto dissimili da quelli di Hirschfeld.

    Costoro vengono presentati come coloro che hanno ideato la sintesi tra il marxismo e la psicanalisi di Sigmund Freud, medico austriaco anch’egli di origini ebraiche, ma tale scuola si propone semplicemente di scristianizzare l’Europa intera, diffondere sentimenti anti-nazionalistici e contro la famiglia tradizionale, fino a sdoganare persino la necrofilia, ovvero i rapporti sessuali con i morti.

    A scriverlo fu Erich Fromm, e se nelle scuole o nelle università si raccontasse quello che scrivevano veramente questi filosofi, molti potrebbero farsi una idea ben diversa da quella che gli atenei vogliono dare di questo gruppo di filosofi, campioni della degenerazione morale.

    Il’68 non è quindi un qualcosa accaduto per una mera serie di fortuite coincidenze.

    E’ un movimento sociale e politico che è stato pensato e costruito da questi filosofi che avevano dalla loro parte gli ambienti della discografia internazionale che avevano tutto l’interesse a trasformare il mondo e a traghettarlo verso una società priva dei pilastri del mondo cristiano.

    Le origini dei Beatles

    La musica era ed è un potentissimo veicolo di consenso, ma essa proprio per la sua forza di influenzare milioni di giovani, è stata per tutto il secolo scorso, e ancora oggi, in mano a potenti gruppi che avevano e hanno un’agenda ben precisa che coincide con quella della scuola di Francoforte e della massoneria, altro feroce nemico della cristianità e soprattutto del cattolicesimo.

    I quattro ragazzi di Liverpool all’inizio erano soltanto degli sconosciuti e non sembravano avere nessun talento particolare, salvo quello di suonare le cover di altri gruppi musicali.

    Fino al 1962, suonavano in un bordello di Amburgo, e non avevano avuto nessuna fortuna nelle varie audizioni che il loro manager, Brian Epstein, britannico anch’egli di origini askenazite, instancabilmente cercava di procurargli.

    Brian Epstein, la vera mente dei Beatles

    I quattro di Liverpool erano stati bocciati da altre case discografiche quali la Columbia, la Philips e la Oriole.

    Nessuno sembrava avere fiducia nelle loro “qualità” musicali che in quegli anni faticavano molto a manifestarsi.

    Epstein, che condivide il cognome del famigerato Jeffrey Epstein, non aveva più molte frecce al suo arco fino a quando non riuscì a fargli avere un’audizione per la Parlophone Records, di proprietà della EMI, il 6 giugno del 1962.

    I Beatles giungono in tutta fretta da Amburgo, arrivano ad Abbey Road, nella sala di registrazione della Parlophone, e iniziano a suonare alcuni pezzi come “Love me, do “ma il risultato è lontano dall’essere soddisfacente.

    L’ingegnere del suono presente in quell’occasione, Norman Smith, definì la prova dei quattro come “molto rumorosa”, mentre Martin fu ancora più esplicito bollando come “spazzatura” la musica espressa dai Beatles.

    Non c’era traccia all’epoca delle “straordinarie” doti musicali che si videro negli anni successivi del gruppo di Liverpool, quando iniziarono a produrre un tipo di musica molto diversa.

    Martin però cambia stranamente idea su di loro soltanto alcuni mesi dopo la disastrosa prova di Abbey Road.

    A convincerlo è stato proprio Epstein che esercitava un forte ascendente su di lui e che voleva a tutti i costi che questo gruppo emergesse e diventasse poi un’icona della musica mondiale per generazioni.

    Il salto di qualità: Adorno il vero autore delle canzoni dei Beatles?

    I primi tempi i Beatles scrivono canzonette poco più che orecchiabili come appunto Love me do, fino a quando dal 1965 in poi, dopo l’album Rubber Soul, che contiene pezzi come la celebre In My Life, le canzoni iniziano a farsi più raffinate, complesse e sofisticate.

    Secondo alcuni, tra i quali l’ex membro dei servizi britannici del MI6, John Coleman, a scrivere le canzoni del gruppo sarebbe stata la mano di Theodor Adorno, ovvero proprio il capostipite della citata scuola di Francoforte che aveva pianificato la rivoluzione del’68, sotto l’attenta regia dell’istituto Tavistock, finanziato dalla famiglia Rockefeller e fondato nel 1947, che ha lavorato come mente e volano di vari processi di ingegneria sociale per concepire il tipo di società laica e materialista dei giorni presenti.

    Alle stesse conclusioni giunge l’autore e poeta, Thomas E. Uharriet, che ha scritto un romanzo dal titolo “Le memorie di Billy Shears” dove a raccontare il retroscena sarebbe l’uomo che avrebbe preso il posto di Paul McCartney, morto in realtà in un incidente stradale nel 1966, un episodio sul quale si dirà meglio in seguito.

    I massimi rappresentanti delle istituzioni non sembrano avere alcuna intenzione di ostacolare i quattro di Liverpool, ai quali vengono aperte tutte le porte, anche le più prestigiose, come quelle che li portano ad essere nominati membri dell’impero britannico da parte della regina Elisabetta II, un personaggio tra i più influenti tra le gerarchie mondialiste e membro del potentissimo ed esclusivo comitato dei 300, del quale facevano parte, tra gli altri, David Rockefeller, Lord Rothschild e Gianni Agnelli.

    Nel 1966, si nota ancora di più la netta distanza che separa i Beatles delle origini che facevano fatica ad incidere “Love me do” con il celebre album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, nella cui copertina si vedono personaggi quali Karl Marx, uno dei principali riferimenti filosofici di Adorno, e Alesteir Crowley, uno degli occultisti e satanisti più importanti e potenti di tutto il secolo scorso.

    La copertina dell’album Sergeant Pepper’s

    L’anticristianità dei Beatles

    I Beatles diranno che hanno messo nella loro copertina quelli che consideravano i loro “eroi”, e questo oltre che a mostrare una loro evidente simpatia per la società atea del comunismo, ne mostra un’altra, molto più inquietante, per il mondo dell’occulto e del satanismo.

    I quattro artisti non esitavano infatti a mostrare tutta la loro avversione per la cristianità.

    Il loro addetto stampa, Derek Taylor, si esprimeva così su di loro.

    “Sono completamente degli Anti-Cristo. Voglio dire, sono anch’io un Anti-Cristo, ma loro sono così degli Anti-Cristo che riescono a scioccarmi, e non è una cosa facile.”

    Gli stessi Beatles se c’era da esprimere sentimenti fortemente anti-cristiani, non si tiravano certo indietro.

    Al San Francisco Chronicle, il 13 aprile del 1966, John Lennon disse che “la cristianità andrà via, svanirà e si ridurrà. Non ho bisogno di discutere al riguardo.”

    Lennon non era nuovo a vere e proprie bestemmie contro Cristo tanto che arrivò ad apostrofare Gesù, e ci si scusa per il seguente linguaggio osceno, come “Gesù El Pifico, un piccolo bastardo fascista cattolico spagnolo, giallo, puzzolente e unto, che mangia aglio.”

    Secondo Joseph Niezgoda, autore e primo seguace dei Beatles sin dagli esordi, John Lennon avrebbe stretto un patto con Satana per avere la fama e il successo che desiderava così ardentemente, una circostanza ammessa dallo stesso musicista.

    I riferimenti massonici e satanici negli album e nelle foto ufficiali dei Beatles sono semplicemente una quantità sterminata.

    Nella copertina di Yellow Submarine, ad esempio, si vedono in primo piano John Lennon, sulla destra, che fa il famigerato segno delle corna, riferimento a Satana, e a sinistra, Paul McCartney invece fa il segno dell’ok, con le tre dita sollevate che rappresentano il numero 666, il famigerato numero della Bestia citato nell’Apocalisse.

    McCartney e Lennon che fanno rispettivamente i segni del 666 e delle corna

    Ci sono altre foto dove si vede McCartney portarsi il pollice e il dito medio sull’occhio destro in quello che è uno dei gesti massonici più noti e che è stato fatto da un’infinità quantità di cantanti e attori, segno della loro appartenenza e sottomissione alla massoneria che esercita un grandissimo potere sulle carriere di quegli artisti disposti a tutto pur di fare successo, anche a vendere l’anima al diavolo.

    In un altro articolo del Daily Mirror del 22 febbraio del 1965 intitolato “I magnifici 7” dedicato ai quattro artisti e ai loro tre manager, oltre al citato Epstein ci sono anche Dick Lester Liebman, regista americano figlio di una famiglia ebraica originaria di Philadelphia, e Walter Shendon, anch’egli americano di origini ebraiche, ma di San Francisco.

    La copertina del Daily Mirror sui “magnifici sette”

    Nella foto che ritrae i sette, si può vedere come George Harrison, Dick Lester e Walter Shendon, mettano tutti la mano nella giacca in una posa che è notoriamente un segno massonico per mostrare agli altri “fratelli” la propria devozione nel mantenere all’interno delle logge i segreti della libera muratoria e a servirne meglio gli scopi.

    E’ questo forse uno dei simboli più noti e che è stato fatto da uno stuolo di importanti personaggi, tra i quali Napoleone Bonaparte, uno dei più potenti alleati e protettori della massoneria in Francia, e il già citato Karl Marx.

    Ne hanno fatta di strada i quattro ragazzi da quel bordello di Amburgo al divenire il simbolo e il motore di un devastante cambiamento sociale che ancora oggi fa sentire tutti i suoi effetti.

    Paul è morto?

    Sembrava che non ci fosse nulla che potesse fermare la strada del successo dei Beatles fino a quando il 12 settembre del 1966, non accadde quello che poteva far finire anzitempo la storia del gruppo, ovvero la presunta morte di Paul McCartney in un incidente stradale.

    A diffondere per primo la storia che McCartney era morto non è stato un qualche loro fan, o qualcuno che aveva messo in giro tale indiscrezione.

    A farlo è stata la NBC, uno dei canali più noti del mainstream americano, il giorno stesso dell’episodio quando nel corso dello show “The Monkees” venne annunciato che Paul McCartney era morto in un incidente stradale, una notizia sulla quale la NBC prometteva di dire di più nel bollettino delle 11 di sera, ma poi nulla venne detto al riguardo, né tantomeno venne smentita la morte del celebre artista.

    Sta di fatto che i Beatles dal 1966 in poi iniziano a mettere una infinità di riferimenti nei loro dischi alla morte di McCartney sempre attraverso la tecnica dell’ascolto al contrario attraverso la quale possono sentirsi messaggi come “Paul è morto” oppure “Ho seppellito Paul”.

    Una raccolta dei messaggi nascosti nelle canzoni dei Beatles

    La storia si diffonde, e i vari commentatori del mainstream musicale parlano negli anni a venire di “trovava pubblicitaria” per vendere più dischi, anche se non si comprende bene di quale pubblicità dovesse avere bisogno il gruppo rock più famoso del mondo, e non si comprende nemmeno chi in quegli anni poteva avere l’idea di ascoltare un disco al contrario, rischiando di rovinarlo con il giradischi.

    Il racconto della morte di Paul resta secondo alcuni un mito, una leggenda metropolitana, fino a quando nel 2009 due ricercatori, un esperto informatico e un medico, Francesco Gavazzeni  e Gabriella Carlesi, che volevano scrivere un articolo per confutare la teoria, sono stati costretti ad ammettere che ci sono delle evidenti differenze nella fisionomia di Paul McCartney prima e dopo il 1966, su tutte quella del padiglione auricolare che è una sorta di impronta digitale e uno dei metodi più sicuri per accertarsi di eventuali sostituzioni di persone.

    McCartney dunque è stato sostituito da un sosia che ha continuato a suonare con la band per non far morire anticipatamente il gruppo musicale più influente della storia?

    Anche se ci fosse stata la sostituzione, l’appuntamento dello scioglimento dei Beatles è soltanto rimandato di tre anni.

    Nell’agosto del 1969, muore Theodor Adorno, quello che secondo diversi ricercatori è stato il vero maestro occulto della band, e, soltanto pochi mesi dopo lo scioglimento della banda è praticamente già cosa fatta.

    A confermarlo è stato nell’ottobre di quell’anno Paul McCartney che raggiunto dalla stampa che voleva fargli delle domande sulla sua presunta sostituzione con il vero McCartney, l’artista risponde in maniera criptica affermando che “la cosa dei Beatles è finita”,  e la scelta della parola “cosa” ha sorpreso anche i cronisti presenti come se l’essere parte della famosissima band fosse una obbligazione o forse una parte da recitare.

    Ancora oggi, sono molte le domande e gli interrogativi che infittiscono i misteri su questo gruppo, a partire dal repentino e improvviso successo, nonostante la mediocrità iniziale, fino all’inspiegato salto di qualità delle loro canzoni negli anni a venire, un qualcosa che non si è più visto in nessun Beatle dopo lo scioglimento del gruppo, salvo in qualche canzone di John Lennon quale “Imagine”, vero e proprio inno del mondialismo che predica la fine di ogni religione e di ogni nazione sulla perfetta falsariga del “sogno” auspicato dalla massoneria internazionale.

    Cosa resta quindi oggi di questo gruppo e quale la sua eredità?

    Ai Beatles va il “merito” di aver fatto fare enormi passi in avanti alla cultura della droga e al nichilismo imperante che si è diffuso in tutto l’Occidente fino a portarlo ad una sempre più crescente e preoccupante scristianizzazione.

    Il consumo delle droghe dopo il successo dei quattro è letteralmente esploso, e i mezzi di comunicazione di massa non si adoperavano certo per censurare i Beatles, se si pensa che la TV britannica, la ITV, trasmetteva una intervista di McCartney che ammetteva di consumare regolarmente LSD.

    La rivoluzione del 1968 serviva esplicitamente a questo.

    A costruire un mondo senza valori, lontano da qualsiasi spirito di patria, di senso di famiglia, fino a precipitare nel vuoto del relativismo che si vede nei giorni presenti.

    Alla famosa domanda della canzone “Chiedi chi erano i Beatles”, si può quindi rispondere che sono stati costoro che forse più di tutti nel mondo dell’arte e della musica hanno assolto alle funzioni delle élite e della massoneria per creare una Europa vacua e sterile, invasa dai migranti e lontana dall’essere il continente che è stato per 2000 anni la sede della cristianità mondiale.

    Alle giovani generazioni andrà insegnato tutto questo.

    Andrà insegnato che quello che li affligge ora non è venuto dal nulla, ma è stato appositamente studiato e concepito contro di loro, a partire dai falsi “eroi” della musica.

    Fonte: https://www.lacrunadellago.net/i-beatles-e-listituto-tavistock-storia-di-una-programmazione-e-di-una-rivoluzione-culturale/


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