Una bella mazzata mortale al Deep State che di fatto perde il controllo della Magistratura stessa consegnando le chiavi alla VERA GIUSTIZIA
A quanto pare ora il Deep State non avrà più il controllo delle sentenze e non può più decidere sulle sorti di nessuno o avere vantaggi.
Marcello Viola procuratore capo. Le cinque cose che cambiano a Milano
E dunque è Marcello Viola il nuovo procuratore capo di Milano. Una scelta, quella fatta dal plenum del Csm a maggioranza, che ha tantissimi significati. Eccone alcuni.
Primo. Marcello Viola è il primo “papa straniero” in procura a Milano da moltissimo tempo. Da sempre nella seconda procura per importanza a livello nazionale (si dice sempre che Roma vale due ministeri, e Milano uno), si è scelto un uomo formatosi all’interno. E invece questa volta non è andata così. L’arrivo di Viola scardinerà vecchie consuetudini e vecchie logiche.
Secondo. Con Marcello Viola si chiude una volta per tutte l’era di Mani Pulite. E’ infatti da Mario Chiesa in poi che Milano si è costruita una indipendenza assoluta da qualsiasi logica, ed è diventata di fatto feudo di Magistratura Democratica. Viola, opposto a Maurizio Romanelli che sarebbe stato la continuità, significa che a Milano si volta pagina e nel trentennale di Mani Pulite quella storia ha la parola fine sul libro.
Terzo. Marcello Viola procuratore capo vuole dire la sconfitta di Maurizio Romanelli, e dunque di Francesco Greco, perché era in piena continuità. Romanelli, e dunque Greco, e dunque Fabio De Pasquale, che non a caso era stato messo nel mirino dal facente funzione Targetti e dagli altri magistrati. E’ probabile che l’arrivo di Viola ridimensionerà i compiti del dipartimento che persegue i reati esteri e ridistribuirà il carico di lavoro.
Quarto. Le conseguenze del processo Eni, delle tante inchieste archiviate sul Coronavirus, delle continue assoluzioni alla politica lombarda (l’ultima quella di Mantovani, ma non solo), hanno portato a questo esito finale.
Quinto. Marcello Viola arriva malgrado i ricorsi, malgrado il suo essere al di fuori, o comunque in conflitto con il “sistema” raccontato da Luca Palamara e Alessandro Sallusti. “Chissà se glielo faranno fare o si vendicheranno”, diceva Palamara agli amici l’altra sera, nella sua trasferta milanese. Gliel’hanno fatto fare. Il che ha un significato enorme.
Svolta in Procura a Milano. Il capo non è rosso ma Viola
Le toghe di sinistra hanno provato fino all’ultimo a scongiurare due pericoli che in una botta sola rischiavano di abbattersi su di loro. Il primo: che per la prima volta da cinquant’anni la Procura di Milano fosse guidata da un magistrato venuto da fuori, cresciuto lontano da quel viluppo di percorsi comuni, di alleanze, financo di segreti che hanno contribuito a farne il tempio del pool Mani Pulite, il santuario del «resistere, resistere, resistere». Il secondo, forse ancora peggiore: che il «papa straniero» non avesse in tasca la tessera di Magistratura democratica e delle correnti sue alleate, che per anni hanno considerato Milano un feudo inespugnabile. Ma non c’è stato niente da fare. Alle 13 di ieri il Consiglio superiore della magistratura vota il nuovo capo della Procura.
E al primo scrutinio, senza neanche arrivare al ballottaggio, passa Marcello Viola, procuratore generale di Firenze, che sconfigge – e con un distacco assai più ampio del previsto – il candidato che Md si è trovata a sostenere praticamente da sola: Maurizio Romanelli, procuratore aggiunto a Milano, un pm serio e tosto, che ben poco ha a che fare con il «cerchio magico» che ha retto in questi anni la Procura milanese e ne ha indirizzato le indagini. Ma Romanelli ha sempre lavorato nella Procura milanese, e non poteva essere lui l’uomo della «discontinuità», la rottura con gli scontri feroci che in questi dodici mesi si sono consumati a Milano intorno a tutte le inchieste importanti – da Eni alla loggia Ungheria al Monte dei Paschi di Siena – e che hanno portato sotto processo i suoi vertici.
Di questi mesi pesanti si parla a lungo, e in modo finalmente esplicito, nel plenum di ieri del Csm chiamato a sciogliere il nodo Milano. E intensa è anche l’eco del «caso Palamara», le chat che hanno investito in pieno lo stesso Consiglio superiore disvelando il sistema delle lottizzazioni politiche e di corrente. Giuseppe Cascini, toga di Md che pure in quelle chat compare ripetutamente, cerca di usare il caso Palamara nell’ultimo, disperato tentativo di affossare la candidatura di Viola, ricordando che il suo nome era sponsorizzato per un altra nomina eccellente, quella alla procura di Roma, dai partecipanti alla famosa riunione all’Hotel Champagne. Gli risponde a brutto muso il pm Nino Di Matteo, ricordando che in quelle chat c’è anche il nome di Romanelli.
Alessandra Dal Moro, anche lei di Md ci prova più nobilmente, «Romanelli è in grado di interpretare la storia di un ufficio che ha sempre funzionato perfettamente, ha l’autorevolezza la storia professionale che lo rendono in grado sicuramente di ricompattare l’ufficio». Ma ormai è una battaglia di retroguardia destinata alla sconfitta, al momento del voto Romanelli si ritrova solo con sei voti, quasi tutti della sua corrente, mentre per Viola votano compatti non solo i moderati della sua corrente e gli ex davighiani, ma tutti i membri laici eletti dal Parlamento, sia di centrodestra che grillini. Una compattezza che ha pochi precedenti, e che si spiega solo con la volontà di mettere a Milano un procuratore non vulnerabile dai ricorsi al Tar: e che consenta davvero di voltare pagina.
Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/politica/svolta-procura-milano-capo-non-rosso-viola-2024624.html
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