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    Home»Salute»Il linguaggio di quando siamo depressi
    Salute

    Il linguaggio di quando siamo depressi

    11 Maggio 2018Updated:10 Aprile 20213 Mins Read
    depressione
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    Il linguaggio di quando siamo depressi
    Uno studio rivela che la depressione ha un suo linguaggio. Che non si basa (soltanto) sulle parole negative.
    Di Eugenio Spagnoulo

    “Le parole sono importanti”, afferma Nanni Moretti in un suo celebre film. In particolare, quelle che usiamo possono dire molto di noi. Per esempio, secondo uno studio pubblicato su Clinical Psychological Science, possono persino rivelare se soffriamo di depressione
    Non è la prima volta che gli scienziati cercano di cogliere la correlazione tra disturbi dell’umore e linguaggio. Oggi, a differenza che in passato, c’è a disposizione una nuova grande risorsa: i “big data”. Due ricercatori del Dipatimento di Psicologia dell’Università di Reading (Regno Unito), Mohammed Al-Mosaiwi e Tom Johnstone, hanno infatti raccolto i testi scritti di oltre 6.400 persone, iscritte a 64 diversi forum online dove si discute di salute mentale, e hanno analizzato le parole attraverso strumenti di analisi del testo del computer.
    LE PAROLE DELLA DEPRESSIONE. A quali conclusioni sono giunti? Alcune, per la verità, non troppo sorprendenti, come quella che sottolinea che le persone che soffrono di depressione usano spesso parole collegate a emozioni negative (come “solo”, “triste”, “miserabile” ecc). Altri risultati invece erano meno prevedibili: si è scoperto, per esempio, che i depressi preferiscono i pronomi personali alla prima persona singolare (cioè “io”, “me”) a differenza dei non depressi che impiegano sia i singolari sia i plurali, preferendo oltretutto la terza persona (dunque “lui”, “loro”).
    «La parte relativa all’uso dei pronomi è molto interessante», scrive Al-Mosaiwi ,«e suggerisce come le persone con sintomi depressivi siano più focalizzate su se stesse e meno connesse con gli altri. I pronomi sono più affidabili nell’aiutarci a identificare la depressione rispetto alle parole che indicano emozioni negative».
    Per avere ulteriori conferme, Al-Mosaiwi e Johnstone hanno analizzato anche i “forum di recupero”, cioè quelli frequentati da persone in fase di guarigione. Qui hanno registrato un aumento notevole, pari circa al 70%, delle parole con un’accezione positiva. Tuttavia le “parole assolutiste” erano comunque molto usate anche in questo caso, anche se in modo leggermente inferiore rispetto ai forum dove si parla di ansia e depressione: segno che in molti casi i disturbi dell’umore non sarebbero del tutto scongiurati.

    LA DEPRESSIONE NEL MONDO. Attenzione però a non fare correlazioni affrettate: non è detto che chi usa certe parole sia di fatto depresso. Secondo gli autori di questa ricerca è possibile che si usi un linguaggio associato alla depressione, pur non essendo effettivamente depressi: «In definitiva», sostengono Al-Mosaiwi e Johnstone, «è come vi sentite nel lungo periodo a determinare se soffrite davvero di depressione. Ma poiché l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che oltre 300 milioni di persone in tutto il mondo convivono con la depressione, avere più strumenti per individuarla è importante per migliorare la salute, anche per prevenire suicidi».

    COMPUTER O TERAPEUTI? Ma la vera notizia probabilmente è che l’analisi automatica del testo effettuata dai computer su larga scala potrebbe presto risultare più affidabile del lavoro di terapeuti addestrati. «Le classificazioni effettuate attraverso l’apprendimento automatico miglioreranno man mano che aumenteranno i dati a disposizione e grazie anche allo sviluppo di algoritmi sempre più sofisticati. Intanto il lavoro dei computer ha iniziato a dare i suoi frutti, individuando categorie sempre più specifiche di problemi di salute mentale come il perfezionismo, i problemi di autostima e l’ansia sociale”.

    fonte: Focus

    Eugenio Spagnoulo Il linguaggio di quando siamo depressi Nanni Moretti
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