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    Home»Ogginotizie»Papa Leone XIV: il viaggio a Gaza, il rapporto con Israele e Donald Trump
    Ogginotizie

    Papa Leone XIV: il viaggio a Gaza, il rapporto con Israele e Donald Trump

    20 Maggio 2025Updated:20 Maggio 202517 Mins Read
    Papa Leone XIV - il viaggio a Gaza il rapporto con Israele e Donald Trump
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    L’emozione traspariva chiaramente sul volto del pontefice Leone XIV durante la sua intronizzazione come pontefice di Santa Romana Chiesa.

    Papa Prevost era visibilmente commosso quando il controverso cardinale filippino, Tagle, gli metteva al dito l’anello piscatorio, ovvero l’anello che soltanto il successore di Simon Pietro, il pescatore di anime, può portare.

    La Chiesa è questo.

    E’ una storia di redenzione iniziata con Gesù Cristo quasi 2000 anni fa che scelse i suoi apostoli per fondare la sua Chiesa e individuò in Pietro il capo di essa.

    La successione apostolica è da qui che parte. Da quando il discepolo prediletto di Cristo riconobbe chiaramente la divinità del Maestro e rispose che Egli era il Figlio del Dio vivente.

    Papa Leone XIV sente davvero tutta l’importanza, la solennità e la santità dell’ufficio papale e sa che sulle sue “fragili spalle” graverà il peso di tale successione e il peso di chi dovrà fare i conti con una Chiesa ridotta in macerie non soltanto dopo il pontificato di Bergoglio, ma dopo 60 anni di Concilio Vaticano II che hanno portato la Chiesa in tali misere condizioni.

    Sbaglia difatti chi si illude che il pontificato dell’uomo venuto dalla fine del mondo sia stato soltanto un “incidente di percorso” e che si possa ritornare, come se nulla fosse, al punto nel quale terminò il conclave di Ratzinger senza fare un’analisi dal respiro più profondo e che risalga alle cause primigenie che hanno portato la Chiesa dall’essere la custode della Verità rivelata ad una istituzione laica e laicizzata molto più simile ad una qualsiasi ONG di stampo sorosiano.

    Sbaglia parimenti però chi pensa che papa Leone XIV possa in un sol colpo scoprire tutte le carte e dichiarare che nel 1958 ebbe luogo un colpo di Stato nel cuore della Chiesa, quando il gruppo dei cardinali francesi guidati dal porporato Eugene Tisserant si alzarono in piedi e minacciarono uno scisma per impedire al cardinal Siri, già arcivescovo di Genova, di diventare il successore di Pio XII.

    Se le intenzioni di questo pontefice sono davvero quelle di sanare le ferite di un lungo e secolare processo di infiltrazione, allora non si può davvero pretendere che in soli 12 giorni di pontificato, riesca a sanare una infezione che dura da più di 60 anni e che si è manifestata pienamente con il Vaticano II di Roncalli e Montini.

    Se papa Leone adottasse una simile strategia si ritroverebbe subito aggredito apertamente dagli organi di stampa che già ora iniziano a manifestare una certa insofferenza nei suoi confronti, viste le sue dichiarazioni sulla necessità di difendere la unica vera forma di famiglia possibile, quella tra uomo e donna, senza dimenticare che dentro le Mura Vaticane l’infiltrazione è penetrata molto in profondità e qualsiasi serio intervento di cambio di rotta non può essere prima fatto senza bonificare a fondo la Chiesa dalla presenza dei suoi nemici.

    I primi attacchi mediatici a papa Leone XIV

    Ad aprire le danze delle frecce mediatiche è stato intanto il New York Times che ha tirato fuori una storia di più di un secolo fa secondo la quale il nonno di papa Prevost, Salvatore Giovanni Riggitano, sarebbe stato responsabile di adulterio o di condotta immorale, subito ripresa repentinamente da La Repubblica, giornale storico di De Benedetti oggi in mano alla famiglia Elkann.

    Si può vedere subito quale sia il parametro che domina la (dis) informazione di massa.

    Essa si precipita ad aprire i polverosi archivi dei quotidiani di 110 anni fa alla ricerca di una qualche vicenda dai toni scandalistici per provare a gettare qualche ombra sul papa, mentre per quello che riguarda il caso di Jorge Mario Bergoglio, nulla viene detto, ad esempio, sulla inspiegabile circostanza che i parenti più stretti di papa Francesco, sua sorella Maria Elena Bergoglio, e i suoi due nipoti, non solo non siano venuti al suo funerale lo scorso aprile, ma, ad oggi, non hanno ancora nemmeno reso omaggio al loro “illustre” parente attraverso una visita presso la sua tomba a Santa Maria Maggiore.

    C’è chiaramente del gelo dentro la famiglia Bergoglio per quello che riguarda la morte del papa, ed è su tale gelo che gli organi di stampa hanno chiaramente l’ordine di non andare a indagare troppo per capire come mai i parenti del pontefice scomparso non sembrano avere troppo affetto nei suoi riguardi, né tantomeno si deve indagare sulla misteriosa e segretissima visita della sorella di Francesco avvenuta l’ultima settimana di febbraio, quando dal Gemelli uscivano comunicati schizofrenici, secondo i quali il papa argentino un giorno cantava e ballava con la Meloni e il giorno dopo era praticamente moribondo.

    Un giorno forse si saprà meglio cosa accadde durante la misteriosa e opaca degenza ospedaliera di papa Francesco, ma intanto si vede che la (dis) informazione sta già scaldando i motori delle macchine del fango, mentre l’altro suo braccio operativo, quello della falsa informazione alternativa, non si è invece nemmeno riservato la facoltà di attendere per attaccare papa Leone XIV, accusandolo subito falsamente di aver insabbiato presunti abusi avvenuti nella diocesi di Chiclayo nel 2007.

    Si parlò già in un precedente contributo di come queste accuse sembrassero quantomeno deboli e anomale, se si pensa che le tre presunte vittime non avrebbero detto niente per ben 15 anni, dal 2007 al 2022, e soprattutto se si pensa che nessun  altro, salvo loro, avrebbero avuto a che dire sul comportamento dei due sacerdoti accusati, Eleuterio Vásquez Gonzales e Ricardo Yesquen.

    La principale accusatrice dei due prelati, Aura Teresa Quispe Diaz, non ha esitato a raccontare la sua versione dei fatti presso il programma televisivo Cuarto Poder trasmesso dall’emittente America TV, nelle mani di una famiglia di magnati peruviani, i Miro Quesada, molto vicini alla famiglia Rockefeller.

    Aura Diaz sostiene che i due l’avrebbero toccata e palpeggiata, e assieme alle altre due anonime accusatrici si è recata anche presso la magistratura peruviana, non soddisfatta evidentemente della inchiesta condotta dal Vaticano, ma le autorità locali non hanno trovato nemmeno una prova che confermasse il racconto della donna.

    Si arriva quindi alla probabile conclusione che queste tre donne possano aver mentito deliberatamente sin dal principio e che il loro scopo fosse quello sin dal primo istante di accusare falsamente Prevost di “negligenza”, uno scenario questo ancora più interessante perché significherebbe che l’allora cardinal Prevost era già finito nel mirino di certi ambienti progressisti che evidentemente non dovevano reputarlo tanto amico della loro causa.

    Il pontificato di Prevost è iniziato dunque così.

    Subito assediato da quei falsi controinformatori che già negli anni passati si erano “distinti” per aver definito il presidente Trump come un “sionista”, e che oggi ovviamente nulla dicono sul fatto che Trump ha di fatto rotto ogni rapporto con lo stato ebraico dopo che ha visitato il Medio Oriente senza passare da Israele, fatto un tempo inconcepibile per il presidente degli Stati Uniti, e con la possibilità sempre più vicina di un accordo con l’Iran.

    La prima “epurazione” di papa Leone XIV: il controverso monsignor Paglia

    Nulla hanno detto i vari depistatori dei falsi media alternativi semplicemente perché tutta la loro falsa narrazione è stata spazzata via in un colpo solo, e nemmeno nulla stanno dicendo, per ritornare sull’ambito ecclesiastico, sul fatto che il suo primo giorno di pontificato papa Leone XIV abbia rimosso il controverso monsignor Paglia dal ruolo di cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per mettere al suo posto invece monsignor Reina.

    Paglia già tempo addietro era finito nell’occhio del ciclone per la sua dichiarazione di apertura a favore dei “diritti” gay e successivamente per aver permesso la realizzazione di affreschi omoerotici nella cattedrale di Terni da parte dell”artista” argentino Ricardo Cinalli, talmente blasfemi che raffiguravano persino Cristo intento a portare in cielo dei trans.

    La “epurazione” di Paglia è un messaggio non solo agli ambienti LGBT che infestano il Vaticano, ma è anche un segnale alla lobby immigrazionista di Sant’Egidio, la celebre, o famigerata, comunità fondata da Andrea Riccardi, della quale Paglia è stato lo storico cappellano.

    La circostanza appare ancora più ironica se si pensa che proprio Riccardi nel salotto di Bruno Vespa si prodigava assieme al solito parterre di “cattolici moderati” nel raffigurare papa Prevost in perfetta continuità con Bergoglio, quando il primo dardo del pontificato leonino è partito proprio contro Sant’Egidio.

    Il piano fallito della massoneria ecclesiastica: l’elezione di Parolin

    Non era evidentemente Leone XIV la scelta dei progressisti.

    C’era stato tutto un lavoro di tessitura da parte degli ambienti massonici e sionisti che si erano spesi pubblicamente per mettere sul soglio pontificio Pietro Parolin, l’attuale segretario di Stato pro-tempore, che aveva rapporti pessimi con Francesco, ma che avrebbe certamente garantito il continuum progressista anticattolico meglio di ogni altro.

    Pietro Parolin, il grande sconfitto del conclave

    La candidatura del porporato vicentino è però, com’è noto, durata poco, ed è invece emersa presto quella dell’outsider Prevost che già nei giorni precedenti al conclave era stato avvistato a casa del cardinal Burke, vicino a Trump, e accusato da Report di aver “dirottato” in qualche modo il Conclave attraverso un presunto dossieraggio ai danni dello stesso Parolin.

    Ammesso che ciò sia accaduto, si trasecola di fronte alla faccia di tolla del compagno Ranucci che si prodiga per dimostrare quella presunta tela di complicità che avrebbe pregiudicato la strada del soglio pontificio a Parolin, ma nulla pare sia stato detto da parte sua, ad esempio, su quella accertata tela cospirativa che ha portato Jorge Mario Bergoglio sul soglio pontificio, spinto soprattutto dall’amministrazione di Barack Obama e Hillary Clinton, ansiosi di favorire l’avvento in Vaticano di una “rivoluzione colorata”.

    Papa Leone XIV parte quindi così.

    Non ha il favore dei mass media, che già iniziano a tirare fuori contro di lui calunnie di vario tipo, né tantomeno dei citati falsi media alternativi che hanno ricevuto l’ordine prima di ogni altro di iniziare a diffamare il pontefice.

    Impossibile comunque non vedere già i primi segnali di discontinuità anche nella liturgia, con il ritorno del latino, abbandonato da tempo, e con il discorso rivolto alle chiese orientali che lascia presagire un auspicabile ritorno del rito tridentino.

    Un papato che guarda ad Oriente

    Ed è proprio ad Oriente che lo sguardo di Leone sembra essere rivolto.

    A Nicea, dove il pontefice si recherà per celebrare l’anniversario di quel concilio che respinse le eresie ariane che mettevano in dubbio la natura divina di Cristo e affermavano che Egli fosse separato dal Padre.

    Ancora oggi, una certa vulgata protestante e massonica vuole far credere che a Nicea sia nata la Chiesa Cattolica, quando in realtà essa era nata nel momento stesso in cui Cristo designò Pietro come capo della sua Chiesa.

    L’Oriente è quindi un luogo particolarmente caro a Leone, e il cardinal Pizzaballa, il custode della Porta Santa a Gerusalemme, tornato a Roma per assistere all’intronizzazione di papa Leone XIV, ha affermato che il pontefice potrebbe presto venire a Gaza, in uno dei luoghi più di martirio dei cristiani palestinesi.

    Il cardinal Pizzaballa annuncia la venuta di Leone XIV a Gaza

    A Gaza infatti regna la morte dal 7 ottobre del 2023, quando Hamas, la milizia islamista, lanciò il suo attacco contro Israele, nonostante sin dai primi momenti si vide che c’era qualcosa che non tornava nella narrazione che fornivano i soliti mass media.

    Affermare che Hamas sia una creatura del mondo palestinese è semplicemente antistorico.

    E’ la storia stessa di questo gruppo islamista a rivelare che esso fu aiutato e sostenuto dagli apparati di intelligence israeliani che avevano bisogno di costruire una opposizione controllata, più adatta agli scopi dello stato ebraico.

    All’epoca la resistenza palestinese era rappresentata dall’OLP di Nasser Arafat che già allora denunciava come il proposito di Israele non fosse tanto quello di provare a convivere con i suoi vicini arabi e con il popolo palestinese, ma quello di estendersi al di là dei suoi confini, fino ad arrivare all’edificazione della Grande Israele, una sorta di rivisitazione biblica dell’antico regno israelita che si estenderebbe dal Tigri all’Eufrate.

    E’ tale folle visione imperialista che oggi lo stato ebraico insegue.

    E’ tale visione di potere assoluto che il Likud di Netanyahu aspira in attesa sempre della famigerata venuta del moschiach ebraico del quale parlava il leader carismatico di Chabad Lubavitch, il rabbino Menachem Schneerson, molto amico del primo ministro israeliano.

    Menachem Schneerson, lo storico leader di Chabad Lubavitch

    Si spiega così la folle idea del governo israeliano di lanciare un assedio a Gaza e di provare una buona volta non tanto a far fuori la opposizione controllata di Hamas, utilissima ad Israele, ma a conquistare il territorio di Gaza e ad espellere gli odiati palestinesi, considerati da un ex primo ministro israeliano come Menachem Begin come “animali su due gambe”.

    Si è di fronte alla chiara ed esaltata applicazione del talmudismo che considera come un subumano chiunque non sia un ebreo, ed è questa visione che anima il governo del Likud, sempre più isolato sul piano internazionale e sempre più frammentato al suo interno, considerati i crescenti contrasti con il mondo laico e progressista israeliano, stufo di vivere sotto le bombe e in trincea.

    Papa Leone se andrà a Gaza farebbe certamente qualcosa di storico. Sarebbe un viaggio che ridefinirebbe non poco i rapporti tra il mondo ebraico e cattolico che dal 1962 sono cambiati completamente.

    A cambiare la storia di queste due religioni è stato indubbiamente più di ogni altri papa Giovanni XXIII che aveva già deciso evidentemente che il Concilio da lui indetto in quell’anno non solo dovesse creare una chiesa dal volto più illuminista che cattolico, come disse uno dei suoi architetti, il cardinal Suenens, ma una chiesa soprattutto apostatica nei confronti dell’ebraismo che aveva rinnegato e crocefisso Dio.

    Roncalli decise subito di seguire le direttive che gli venivano dal mondo ebraico.

    Era lui stesso a mandare i suoi emissari presso le varie lobby sioniste per chiedere ciò che il suo papato doveva fare riguardo ai rapporti con gli ebrei, che non esitarono a dirgli che era necessario andare verso una completa riabilitazione da parte del cattolicesimo verso la religione ebraica che arrivò puntualmente attraverso il documento Nostra Aetate del 1962, che non fu scritto da sacerdoti o dottori della Chiesa, ma da uomini del Congresso Ebraico Mondiale.

    In altre parole, si potrebbe dire che la storia del Concilio è quella di una rivoluzione concepita dall’esterno della Chiesa e attuata in seno alla Chiesa stessa per mezzo di una quinta colonna della quale faceva parte Roncalli stesso e il suo successore, Paolo VI, al secolo Giovanni Montini.

    Il rapporto di papa Leone XIV con Israele

    Da allora, tutto è indiscutibilmente cambiato, e non per il meglio.

    Se prima la Chiesa Cattolica affermava indiscutibilmente che nulla salus extra ecclesiam, tale principio ha cominciato ad essere via via derogato, soprattutto per i “fratelli maggiori”.

    Si è arrivati così al riconoscimento sotto il pontificato di Wojtyla dello stato di Israele attraverso l’accordo fondamentale del 1993, nel quale la Chiesa si impegna a combattere ogni forma di “antisemitismo”, mentre lo stato ebraico, da par suo, si sarebbe dovuto impegnare sulla carta per garantire il rispetto della libertà di fede per i cristiani e i cattolici in Terra Santa.

    E’ sufficiente vedere cosa accade ogni giorno nelle tormentate terre palestinesi ai cristiani per avere una idea della “concezione” che gli israeliani hanno del rispetto della religione cristiana.

    I cristiani in Israele vengono insultati, aggrediti, minacciati non di rado anche dalla soldataglia israeliana che non esita a puntare una pistola contro i fedeli cristiani soltanto per la loro volontà di entrare in chiesa.

    E’ del tutto evidente che l’accordo fondamentale è lettera morta, calpestato dall’odio e dal disprezzo che il sionismo nutre nei confronti del cattolicesimo.

    Non si può quindi non giungere alla naturale conclusione che oggi la vera emergenza non è certo il cosiddetto antisemitismo, ma l’anticattolicesimo, religione perseguita in Terra Santa e nel mondo.

    I rapporti con il mondo ebraico saranno di conseguenza una vera e propria prova del nove per il papa, ma sarebbe da ingenui, o in malafede, pretendere che il Santo Padre disfi la tela di un’infiltrazione che è ben più antica dei tempi di Roncalli, se si pensa che già nel 1925 era nata un’associazione come Amici Israel composta da sacerdoti e cardinali che volevano perorare la causa del cosiddetto “lotta all’antisemitismo”.

    Gaza sarebbe indubbiamente un importante punto di svolta.

    Gaza sarebbe il viaggio apostolico che dimostra tutta la vicinanza verso i cristiani perseguitati dimenticati da Bergoglio che ha preferito mettere al centro del suo pontificato il migrante clandestino per la gioia di Sant’Egidio e dintorni.

    Il cristiano in questo pontificato torna ad essere l’eletto di Dio come ha detto lo stesso Leone XIV in una delle sue prime omelie, ed è impossibile anche qui non ravvedere una chiara discontinuità non solo con Bergoglio ma anche con i suoi predecessori come Ratzinger che avevano concesso una speciale dispensa nei confronti del popolo ebraico.

    Le intenzioni e i primissimi atti sembrano essere quindi giusti, e allora si dovrebbe almeno avere la pazienza di dare a Leone quel tempo minimo necessario per stabilire i capisaldi del suo pontificato, e da lì in poi esprimere un giudizio più assennato.

    La geopolitica di Leone: pax in arrivo con Trump?

    Ieri intanto c’è stato il primo incontro ufficiale tra Leone XIV e i rappresentanti dell’amministrazione americana quali il vicepresidente Vance e il segretario di Stato Rubio.

    Leone XIV riceve Vance in Vaticano

    Al pontefice è stata consegnata una lettera di invito negli Stati Uniti da parte del presidente Trump che spera così finalmente di ricucire i rapporti tra il cattolicesimo americano e il Vaticano, dopo che Bergoglio aveva pronunciato l’anatema contro il presidente definito da lui “non cristiano” per la sua volontà di combattere il traffico di esseri umani.

    Se papa Prevost accetterà, allora la geopolitica del Vaticano andrà nelle direzioni non volute dalla massoneria ecclesiastica che voleva porre sul soglio petrino Pietro Parolin per tenere a distanza gli Stati Uniti di Trump e al tempo stesso rinnovare la servitù dei “cattolici” modernisti allo stato di Israele.

    I primi passi di Leone in tal caso saranno sgraditissimi a questi ambienti, e in tal caso, gli organi di stampa non esiteranno un istante a scatenare contro il Santo Padre una violenta campagna di fango, condita da un fiume di false accuse e di sottomissione a Trump o persino di “antisemitismo” qualora ci fosse un viaggio a Gaza.

    Ed è esattamente questa la strada che deve seguire il Santo Padre.

    Non deve cercare di piacere al mondo. Non è la mondanità la bussola della Chiesa Cattolica, ma la strada della verità che è irta di ostacoli e di insidie, e soprattutto densa di falsi amici cattolici che saranno proprio i primi a scagliarsi contro il papa e la Chiesa non appena questa dovesse tornare ad essere quella di sempre.

    Il primo ad essere consapevole che tale missione sarà forse una di martirio è proprio papa Leone XIV, che se vorrà effettivamente andare in quella direzione avrà davvero bisogno delle preghiere di tutti.

    Questo papato è davvero importante perché esso definirà il futuro della Chiesa per molti anni a venire.

    Se papa Leone attingerà dai documenti e dalle magistrali encicliche del suo predecessore, Leone XIII, allora sarà una strada di gloria e martirio che meriterà un altro contributo a parte.

    Va ricordato comunque il motto scelto da Leone XIII nella sua preghiera San Michele Arcangelo, e ripetuto da papa Leone XIV.

    Non praevalebunt. Le forze del male non riusciranno a prevalere sulla Chiesa.

    Fonte: https://www.lacrunadellago.net/papa-leone-xiv-il-viaggio-a-gaza-il-rapporto-con-israele-e-donald-trump/


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