A quanto pare, la storia ama ripetersi come si vedrà meglio in seguito.
Stanotte, il presidente Trump ha scritto sul suo social, Truth, che avrebbe colpito i tre siti nucleari iraniani di Fordow, Isfahan e Natanz attraverso un attacco mirato per distruggere il programma nucleare dell’Iran.
Ai vari guerrafondai degli organi di stampa e dei loro fedeli alleati della falsa controinformazione non deve essere sembrato vero perché avranno pensato che “finalmente” il tanto atteso armageddon nucleare da loro ardentemente desiderato sia finalmente arrivato.
E invece, ad uno sguardo più attento, ma soprattutto ad uno che si soffermi semplicemente a guardare le immagini degli attacchi si scoprirà che di essi non c’è traccia.
La mattina dopo l’attacco, l’agenzia di stampa iraniana dell’IRNA mostra che il sito di Fordow è perfettamente intatto e operativo e quindi, se qualche bomba è stata sganciata, non ha colpito di certo questa centrale nucleare, ma probabilmente i deserti dell’Iran.
Anche nei siti di Natanz e Isfahan si assiste allo stesso scenario.
Sono tutti intatti, non presentano nessun danno di sorta come avrebbe dovuto esserci qualora fossero stati sottoposti a bombardamenti, e non risulta esserci nessuna vittima civile.
I vari organi di stampa, tra i quali Repubblica, che non trovano immagini dei presunti bombardamenti hanno pubblicato delle foto di attacchi israeliani avvenuti all’Iran giorni prima cercando di farle passare invece per le immagini degli attacchi americani.


Le immagini pubblicate da Repubblica sono in realtà quelle di un attacco ad un deposito di petrolio iraniano avvenuto il 14 giugno
Il precedente siriano: il false flag di Khan Sheikhun
Cosa è accaduto dunque stanotte? Il presidente Trump sembra aver aperto il manuale della dissimulazione a lui ben noto e ha messo in scena una strategia già vista ai tempi della guerra in Siria nel 2017.
Era allora il primo anno della sua presidenza, e la lobby sionista neocon voleva a tutti i costi che gli Stati Uniti continuassero nei loro sforzi per rovesciare il presidente siriano Assad, considerato nemico dallo stato ebraico per la sua contrarietà al piano imperialista della Grande Israele e per essere fermamente determinato a difendere la sovranità del suo Paese.
Il presidente allora si trovò subito di fronte ad una trappola dei suoi nemici.
All’inizio di aprile, iniziò a diffondersi la notizia che nel villaggio siriano di Khan Sheikhun ci sarebbe stato un attacco chimico eseguito da parte del governo Assad.

Il false flag di Khan Sheikhun
In quel periodo, erano molto attivi i cosiddetti elmetti bianchi, un gruppo di terroristi finanziato dallo stato profondo di Washington, dall’Arabia Saudita, dal Qatar e ovviamente dallo stato di Israele che ha sempre sostenuto e alimentato il fenomeno del terrorismo islamico per destabilizzare l’area e scogliere i vari tagliagole dell’ISIS contro gli avversari di Sion.
Tale apparato decise di mettere in scena una classica falsa bandiera, nota come false flag nel gergo dell’intelligence, ovvero l’esecuzione di un attentato di vario tipo che poi viene fatto passare come eseguito dall’avversario che si vuole colpire.
I servizi segreti israeliani hanno una lunga storia di questo tipo di attentati, tra i quali c’è quello fatto contro la stessa ambasciata di Israele a Londra, un attacco, come ha rivelato l’ex agente del servizio segreto britannico del MI5, Annie Machon, messo in atto dai servizi segreti di Israele per accusare falsamente i Palestinesi di esserne stati invece i responsabili.
Non è molto dissimile quello che avvenne nel famigerato attentato del giornale satirico di Charlie Hebdo.
Charlie Hebdo era una pubblicazione estremamente dissacratoria nei riguardi delle religioni, in particolar modo quella cristiana, e dopo una controversa vignetta su Maometto, la sede del quotidiano fu vittima di un agguato che secondo la narrazione ufficiale venne eseguito dalla nota ISIS.
L’attacco serviva ancora una volta, da un lato, ad alimentare il fenomeno del terrorismo islamico e provocare così uno scontro tra l’Europa e Islam, si veda la famosa lettera di Pike a Mazzini al riguardo, e dall’altro, di consentire a Israele di avere dalla sua parte il mondo Occidentale nel suo piano di espansione del suo Stato e del dominio così della intera regione Medio – orientale a discapito dei vari Paesi arabi avversari del sionismo e della sua visione imperialista.
Non molto tempo dopo quell’attacco, emersero alcune testimonianze che riferivano come i terroristi “islamici” avessero gli occhi cerulei, una caratteristica somatica che fa pensare ad un fenotipo molto diverso da quello arabo o Medio – orientale, ma piuttosto a quello caucasico, magari a quello askenazita dell’Europa Orientale.
A confermare che l’attentato di Charlie Hebdo venne eseguito da agenti del Mossad fu anche una cosiddetta insider che si faceva chiamare Ellie Katsnelson, una nobildonna di origini tedesche che affermava di essere imparentata con la famiglia Rothschild, e che dimostrava una profonda conoscenza delle dinamiche che muovevano e muovono il terrorismo islamico.
La Katsnelson scrisse che quell’attacco fu concepito dallo stato ebraico, a dimostrazione che non c’era nulla di spontaneo negli attacchi che venivano attribuiti ai vari islamici, ma che essi erano concepiti nell’ottica di alimentare uno scontro tra mondo cristiano e islam, e servire così meglio la logica di dominio di Israele.
Due anni dopo, nel 2017, lo stesso apparato che concepì la falsa bandiera di Charlie Hebdo, ne eseguì un’altra attraverso il citato attacco di Khan Sheikhun che venne falsamente attribuito ad Assad, quando a concepirlo ed eseguirlo erano stati ambienti del Mossad, della CIA e del MI6 pur di costringere gli Stati Uniti ad un intervento diretto armato contro Assad e scatenare così una probabile guerra mondiale perché la Siria si trovata sotto la diretta protezione militare della Russia che ha salvato Damasco dallo smembramento territoriale desiderato da Tel Aviv.
Il presidente Trump sapeva perfettamente che quell’operazione era stata concepita per tirarlo dentro nel conflitto siriano e servire così gli scopi di Israele.
Trump però all’inganno rispose con l’inganno.
Ordinò il 7 aprile di quell’anno un “attacco” contro la Siria che non fece praticamente nessun danno sostanziale, e che fu con ogni probabilità coordinato con la stessa Siria e la Russia per evitare così di scatenare una escalation e al tempo stesso buggerare coloro che avevano concepito il false flag di Khan Sheikhun e mostrare che gli Stati Uniti avevano “punito” Assad.
Gli Stati Uniti da quel momento in poi hanno iniziato un percorso di separazione dalla lobby militarista del Pentagono, dallo stato ebraico e dalla NATO, ma in tali contesti così complessi e sofisticati è necessario in più di un’occasione ricorrere alla dissimulazione per non cadere nelle trappole dell’avversario anche se agli occhi della opinione pubblica tali azioni a volte possono apparire, a torto, come dei “tradimenti”.
La geopolitica non è sempre un campo lineare, dove una linea parte dal punto A e arriva al punto B senza alcuna deviazione.
Non di rado in questo mondo la linea parte da A ma prima di arrivare a B fa alcuni giri laterali che non sempre possono essere compresi da tutti.
Stanotte, c’è stata un’altra dimostrazione della abilità diplomatiche e geopolitiche di Trump attraverso l’annuncio di aver bombardato i tre siti nucleari citati in precedenza.
Una volta visto che non ci sono danni di sorta alle strutture e una volta costatato che l’attacco, se c’è stato, ha colpito il vuoto, si è fatto presto a comprendere che il presidente degli Stati Uniti ha messo in atto ancora una volta uno dei suoi colpi da maestro.
A confermare che l’attacco è stato una messinscena concordata è stato anche un ufficiale governativo iraniano che ad Amwaj Media ha dichiarato che Teheran era stata avvisata in anticipo dell’azione di Trump.
Gli Stati Uniti si sono così astutamente tirati fuori da ogni possibile ulteriore coinvolgimento nel conflitto perché in fin dei conti Israele dichiarava di voler neutralizzare i siti nucleari iraniani, e, non appena finita la messinscena, hanno dato nuovamente mano libera all’Iran per bombardare Israele, la cui contraerea è ancora a secco senza che Trump muova un dito per rifornirla.
E’ di poche ora fa la notizia che l’Iran ha colpito l’aeroporto di Tel Aviv, e la conferma di tale attacco viene dal fatto che gli aerei che dovevano atterrare lì hanno dirottato su altri aeroporti per poter atterrare.
La strategia e la comunicazione di Trump su Israele
Se si vuole dunque davvero comprendere Trump, bisogna andare oltre le apparenze e le varie dichiarazioni di facciata per ingannare il nemico, ma bisogna esclusivamente guardare alle linee sostanziali della sua politica estera.
Se Donald Trump è un politico “sionista” come afferma la solita falsa controinformazione, allora ci si chiede dove sia il suo sionismo, considerato il fatto che il presidente non rifornisce la contraerea israeliana, e non interviene per difendere direttamente lo stato ebraico, ma lo lascia bombardare incessantemente da Teheran.
Trump si serve della dissimulazione per una ragione alquanto semplice.
Ogni singolo organo di informazione americano e internazionale è nelle mani della lobby israeliana, ogni ramo del Congresso è dominato dalla potentissima setta sionista di Chabad e dall’altro potente gruppo dell’AIPAC, l’organizzazione che ha sempre avuto in mano le redini della politica estera americana.
Il presidente ha scelto di muoversi in tal modo.
Non è ricorso ad un attacco frontale e diretto nei confronti di questi poteri, ma ha mandato loro dichiarazioni di “amicizia” nei primi anni del suo mandato servendosi di essi per attaccare l’altro lato del mondo ebraico, quello progressista e internazionalista più vicino a George Soros e alla sua Open Society.
Trump non si è però schierato né con il sionismo israeliano, né con l’internazionalismo ebraico, ma semplicemente è un presidente che ha messo al centro della sua agenda gli interessi nazionali del suo Paese, e che ha scelto di mettere in gioco anche la sua stessa vita pur di mettere fine alle interminabili guerre che Washington ha scatenato in giro per il mondo per conto di Israele.
Il tycoon sa che per liberare gli Stati Uniti da tutti i tentacoli che controllano tale potente nazione, è necessario a volte mettere un ambiente contro l’altro, fino ad arrivare al definitivo affrancamento del suo Paese.
Ed è quello che sta accadendo proprio in questi ultimi mesi. Il presidente americano ha messo alla porta l’AIPAC e non riceve nemmeno le chiamate di Miriam Adelson.
Ogni tentacolo dunque è stato accuramente rimosso, ma è stato fatto con i tempi e i modi giusti.
Sono giochi che sono noti nelle varie cancellerie.
Lo sa certamente, ad esempio, proprio Teheran che all’indomani dell’omicidio del generale Soleimani, decise di rispondere colpendo una base americana, ma prima di farlo si premurò di avvertire Trump, rassicurandolo che nessuno dei 18 missili lanciati dall’Iran avrebbe colpito la base in questione.
Il retroscena getta chiaramente una luce completamente diversa sulla morte del generale Soleimani, che se effettivamente avvenuta, non deve aver turbato più di tanto l’Iran, mentre se non c’è stata, allora si è trattato evidentemente a tutti gli effetti di un’altra psy-op concepita sempre per ingannare gli avversari di Trump che volevano costringerlo già nel 2019 ad una guerra contro l’Iran, voluta solo e soltanto da Israele.
Si potrebbe metterla in questi termini.
A volte in questo mondo il nero è bianco e viceversa perché appunto l’inganno e la dissimulazione sono una condizione costante negli affari esteri e nella geopolitica poiché gli avversari ricorrono in continuazione a depistaggi di vario tipo, e non si può non rispondere loro con la stessa moneta per neutralizzare i loro tranelli.
Ci si chiede cosa succederà ora.
A giudicare dai precedenti, si veda il generale Soleimani, nulla di diverso da quanto accaduto nel 2019.
Se ci sarà una “risposta” dell’Iran agli Stati Uniti, sarà con ogni probabilità concordata come quella di 6 anni prima.
Nel frattempo, l’Iran continua a bombardare Israele senza sosta, mentre lo stato ebraico che voleva il coinvolgimento diretto e attivo degli Stati Uniti in guerra, è rimasto con un pugno di mosche in mano.
Israele si è risvegliata peggio di prima e giocata ancora una volta da Donald Trump, il “sionista” che sta lasciando affondare Tel Aviv.
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