A via XX Settembre si respira una brutta aria.
Dalle parti del ministero dell’Economia e delle Finanze presieduto da Giancarlo Giorgetti, l’uomo più vicino ai piani alti dell’establishment ed eminenza grigia della Lega, trapela un messaggio molto chiaro.
Va dimenticata la possibilità che finalmente il governo Meloni rompa gli indugi e faccia una manovra finanziaria di cui il Paese ha un disperato da molti e troppi anni.
Si seguirà ancora una volta la via dell’austerità, non ci sarà nessuna manovra anti-ciclica come ci dovrebbe essere in una situazione di stagnazione economica che ormai perdura da 15 anni.
L’Italia e il resto dei Paesi dell’eurozona vivono ormai in una sorta di limbo sospeso e separato dal resto del mondo.
L’eurozona dal 2010 ad oggi è l’unico posto al mondo dove non c’è crescita economica e dove sussiste un enorme buco dal lato della domanda per il semplice fatto che l’euro è stato pensato proprio per arrivare ad un simile scenario.
La moneta unica è la moneta della disoccupazione.
Nella sua stessa struttura c’è la “ricetta” che ha prodotto un esercito di disoccupati che vengono spesso mascherati dalle statistiche attraverso degli artifici quali la definizione di “inattivi” di milioni di persone che non sono iscritte ai centri di ricerca per l’impiego, ma cercano un lavoro e non lo trovano.
Assieme a questi, c’è un’altra categoria di disoccupati occultati dalle statistiche e sono i celebri, o famigerati, occupati, ovvero coloro che nel momento della rilevazione statistica dell’ISTAT hanno lavorato almeno un’ora nella settimana oggetto di indagine.
Sono tutt’al più dei sottoccupati, o dei disoccupati che lavorano di quando in quando saltuariamente, nelle poche occasioni nelle quali ne hanno occasione.
Sono ormai circa 11 anni che i vari governi che si sono succeduti a palazzo Chigi si servono di questa mendace definizione statistica per promuovere una crescita occupazionale inesistente, sempre ovviamente con la compiacenza degli organi di stampa che sono stati gli integerrimi difensori della moneta unica sin da quando l’euro ha visto la luce.
Nessun serio dibattito è stato fatto sulla presunta necessità dell’Italia di entrare nell’euro.
Il dibattito, se può definirsi tale, si è ridotto a delle ridicole dichiarazioni propagandistiche fatte dai vari esponenti del centrosinistra quali D’Alema e Prodi, entrambi vicinissimi all’eurocrazia e alla struttura mondialista dei soliti gruppi Bilderberg e della solita Commissione Trilaterale, che avevano delle idee molto precise in mente per questo Paese già dagli anni’70.

L’Italia, semplicemente, doveva morire.
Doveva essere accompagnata sul patibolo della moneta unica e della perdita di sovranità monetaria e politica perché gli eurocrati e i signori del mondialismo avevano in mente un futuro di spoliazione economica e soprattutto culturale.
Si potrebbe dire che dal’68 in poi si è consumato un assalto culturale da parte degli ambienti della scuola di Francoforte e del club di Roma che volevano laicizzare l’Italia, la culla della cristianità mondiale, e la deindustrializzazione è stato uno dei mezzi per arrivare non solo all’annientamento economico del Paese, ma anche a quello culturale.
Se il futuro designato era quello di far parte di una struttura sovranazionale nelle mani di gruppi quali il Bilderberg, il club di Roma, la Mont Pelerin Society, allora era semplicemente impensabile per gli architetti della governance mondiale non solo lasciare la moneta in mano all’Italia, ma anche consentire al Paese di continuare a seguire le tracce del modello dello Stato imprenditore di fascista memoria, il vero volano dell’esplosione economica dal secondo dopoguerra in poi.
Alla spoliazione hanno pensato i vari esecutori, le varie quinte colonne rappresentante da personaggi quali i citati D’Alema e Prodi, per non dimenticare i Ciampi, i Napolitano, gli Enrico Letta, i Renzi, e tutto l’apparato della sinistra progressista perfettamente integrato nella governance globale.
Il cammino del centrodestra confluito nel centrosinistra
Il centrodestra è stato in tale situazione poco più che una opposizione controllata che soltanto in determinati momenti è arrivato a scontrarsi con l’eurocrazia, senza mai superare il perimetro assegnato all’Italia dall’anglosfera.
All’alba della Seconda Repubblica, il centrodestra si presentava come una coalizione liberale che si proponeva di garantire sicurezza agli italiani e di non mettere le mani nelle tasche degli italiani.
Si può dire che il berlusconismo si fondava principalmente sul binomio dell’abbattimento della tassazione e del controllo dell’immigrazione, e sicuramente ci sono stati dei momenti che la personalissima via seguita dal centrodestra italiano non era abbastanza conforme agli scopi dei signori della governance.
Ad esempio, si può ricordare il famigerato titolo della rivista della famiglia Rothschild, l’Economist, che affermava che Berlusconi era inadatto per governare l’Italia, mentre secondo gli editorialisti della rivista dell’alta finanza, non sussisteva alcun “impedimento” per i rappresentanti del Bilderberg come l’ex cancelliere tedesco Gerard Schroeder, o per l’ex presidente francese Jacques Chirac vicinissimo alla massoneria.

La famigerata copertina dell’Economist del maggio 2001
Si è “inadatti” per lor signori soltanto nel momento in cui si entra in contrasto con gli interessi della famiglia Rothschild che voleva già negli anni 2000 che a governare Roma ci fosse una coalizione o un emissario più adatto agli scopi di Londra e Bruxelles, e questi non poteva essere altro che un personaggio come Mario Monti, il sicario della Commissione Trilaterale e del gruppo Bilderberg, inviato per sostituire Berlusconi dopo che questi nel 2011 capitolò.
Il centrodestra non poteva vincere la partita con l’anglosfera e l’eurocrazia per una ragione molto semplice.
Silvio Berlusconi era inchiodato dal suo conflitto di interessi.
Il reticolato delle sue imprese, che andavano dal settore finanziario a quello assicurativo, finiva inevitabilmente per integrarsi in quella struttura finanziaria nelle mani dei grandi gruppi gestiti dalla famiglia Rothschild, dai Rockefeller, dai Warburg e dai Morgan.
Silvio Berlusconi non poteva passare il Rubicone dell’euro perché era troppo legato al suo patrimonio personale e alle sue miserabili esaltazioni del suo ego personale che raggiunsero l”apoteosi” nell’hotel delle Olgettine, una sorta di suo harem personale gestito da prosseneti di vario tipo.
Berlusconi non era evidentemente né Craxi né Andreotti, non aveva la sapienza, la lungimiranza, e soprattutto la sobrietà dei due politici di razza della Prima Repubblica, e dopo la sua resa, è iniziato l’irreversibile processo di fusione del centrodestra con il centrosinistra.
Se 20 anni addietro, si poteva ancora intravedere qualche lievissima distinzione formale tra le due coalizioni, oggi non c’è praticamente più nulla che separi i due blocchi.
Una volta terminata la breve parentesi della messinscena della Lega “sovranista” salviniana, il centrodestra si è fatto portavoce assoluto dell’agenda femminista attraverso l’assurda e impraticabile legge contro i fantomatici “femminicidi”, senza dimenticare il completo tracollo sui diritti morali della coalizione che un tempo si definiva “cattolica”, e che oggi discute per la legalizzazione del suicidio assistito, un’altra espressione dietro la quale si nasconde l’eutanasia.
Sono sparite anche le precedenti distinzioni sulla tassazione.
Soltanto qualche mese fa, il governo Meloni annunciava con orgoglio che l’esecutivo aveva registrato un aumento delle entrate fiscali, che significa semplicemente che lo Stato sta prendendo più di quello che dà ai propri cittadini.
Non poteva che essere che così nella gabbia dell’euro.
Euro significa semplicemente austerità permanente.
Se si toglie alle nazioni la facoltà di stampare moneta e di svalutare il cambio per proteggere i salari, lo Stato si trasforma in un mendicante di valuta rimesso alla mercé dei mercati.
Nell’eurozona, sono i mercati che dominano gli Stati, a partire dalla struttura della BCE, banca centrale atipica che stampa moneta e non finanzia né il debito né il deficit degli Stati.
Del resto, l’euro non fu fatto per la felicità della “plebaglia” europea come disse uno dei suoi padri, l’eminenza grigia della politica francese, Jacques Attali, ed è indiscutibilmente vero.

Jacques Attali
L’euro nasce nei salotti dell’associazione Paneuropa fondata dal conte Kalergi nel 1924, il quale dopo aver ricevuto lauti finanziamenti dalle famiglie della finanza ebraica come i Rothschild e i Warburg, chiese consiglio a Ludwig von Mises per concepire la struttura della moneta unica.
Von Mises era il fondatore della scuola austriaca, ovvero quella scuola di pensiero che assegna al mercato un ruolo prioritario rispetto allo Stato, e su tale paradigma economico si è fondata tutta la filosofia dell’eurozona.
Era dunque inevitabile che in tale struttura, ogni velleità politica che distingueva le coalizioni venisse meno.
Nell’euro e nella liberal-democrazia, il sistema politico va tutto in una sola direzione, quella del pilota automatico della quale parlava l’uomo del Britannia, Mario Draghi, anni addietro.
Si vede così il centrodestra liberale marciare saldamente a fianco del centrosinistra progressista perché specialmente ora è tutto il sistema politico italiano ad essere messo in discussione, vista la grave crisi che affligge la democrazia liberale in Italia.
A garantire l’esistenza di questa repubblica era l’impero americano, e una volta iniziata la sua dimissione sotto la presidenza Trump, sono sparite tutte le certezze del passato che consentivano ai partiti italiani di restare lì dove si trovano.
Il centrodestra ha dunque scelto di varare una manovra montiana, nonostante il disastro economico della farsa pandemica sia ancora lì intatto, e nonostante i salari siano ormai al palo da 35 anni.
A seguire la stessa via sembrano voler essere Francia e Germania, che si ritrovano afflitte dallo stesso problema.
A Parigi, sono stati cambiati 5 governi in 3 anni.
L’ultimo a cadere è stato l’esecutivo del centrista Bayrou che voleva somministrare al Paese la ricetta dell’austerità che fino ad ora non è stata eseguita appieno da Parigi perché la Francia ha goduto di uno status privilegiato.
Sembra però che i privilegi siano finiti anche per Parigi.
Sfumati in larga parte i benefici del saccheggio dell’Africa attraverso il colonialismo della Françafrique, la Francia si riscopre insignificante sul piano internazionale e priva di solide entrate sul lato economico, e ora i mercati che ordinarono il golpe del 2011 in Italia domandano a Parigi di seguire a sua volta l’austerità.
Da New York, sede della finanza anglosionista, è già arrivato il primo segnale.
Il debito della Francia è stato declassato dall’agenzia di rating, Fitch, una delle varie armi di cui i mercati si servono per colpire gli Stati, soprattutto quelli privi di sovranità monetaria come la Francia, e non in grado quindi di finanziare il proprio debito.
Sembra però che sia impossibile iniziare una manovra lacrime e sangue in Francia senza far scoppiare una rivolta sociale per via di una economia sempre più debole e di una presidenza sempre più lontana dalle necessità della gente comune.
Il macronismo è a fine corsa, e ogni tentativo di far ingoiare ai francesi l’austerità produrrà una spinta uguale e contraria che accelererà la fine della presidenza Macron.
A Berlino, la situazione è pressoché identica. La Germania si ritrova paradossalmente schiacciata dalla moneta unica che aveva voluto a tutti i costi.
Se è certamente vero che l’euro ha consentito alla Germania di accumulare enormi avanzi commerciali grazie ad una moneta con un cambio artificialmente svalutato, ora Berlino si ritrova prigioneria dalla sua stessa linea del rigore, con un saldo delle partite correnti che si riduce e una recessione che ormai dura da almeno 3 anni, a suon di segni negativi del suo PIL.
E’ fuori di dubbio che le sanzioni alla Russia e i costosi aiuti al regime nazista ucraino abbiano inciso ancora di più in negativo sulla crisi dei Paesi europei, ma il declino era già iniziato nel 2019, dove in diversi trimestri il PIL arrivava appena allo 0,1%.
Si stava esaurendo già allora il vantaggio competitivo dell’euro perché se gli altri concorrenti sono costretti a seguire la ricetta dell’austerità, la Germania inevitabilmente si è sparata sui piedi perché i propri clienti non sono più in grado di importare le merci tedesche come un tempo, se loro stessi sono piegati dalla recessione economica.
L’impasse quindi è insuperabile.
Nessuno può restare nell’euro un minuto di più e proseguire sulla strada degli avanzi primari collezionati negli ultimi 30 anni, senza andare incontro alle rivolte sociali e all’implosione di quei partiti che cercano ancora di tenere in piedi un sistema ormai insostenibile.
Sotto certi aspetti, sembra di rivivere quanto accaduto nel 1992.
All’epoca, era in vigore un altro sistema monetario insostenibile, lo SME, antenato dell’euro, concepito ancora una volta per irrigidire la capacità dell’Italia di svalutare la sua moneta e consentire così alla Germania di accumulare quel vantaggio competitivo che non riusciva ad ottenere attraverso il suo marco pesante.
La caduta dello SME fu però programmata dai suoi architetti.
A beneficiare di un sistema insostenibile furono gli uomini del Quantum Fund di George Soros che attaccarono la lira e la sterlina, mettendosi in tasca miliardi di dollari, soprattutto perché i governatori delle banche centrali inglesi ed italiane decisero una folle difesa del cambio fisso con il marco piuttosto che una immediata svalutazione della sterlina o della lira.
33 anni dopo, ci si ritrova in una situazione simile, soltanto che ora si cerca a tutti i costi di salvare la struttura della moneta unica che ormai è socialmente insostenibile.
Allora, il crollo dello SME fu una demolizione controllata.
Stavolta invece il crollo dell’euro sarà un fenomeno che arriverà principalmente contro la volontà delle élite europee e dei governi che sembrano decisi a proteggere il debole fortino della moneta unica.
Se la classe politica europea cercherà ancora una volta di difendere l’euro attraverso altre manovre che prevedono un aumento delle tasse e tagli alla spesa pubblica, allora i vari partiti europei dovranno prepararsi all’implosione assieme alla moneta unica che cercano di tenere in vita ad ogni costo.
L’uomo del Bilderberg, Enrico Letta, scrisse 28 anni fa il libro “Morire per Maastricht” per esprimere l’idea che fosse necessario essere pronti a sacrificare la sovranità e il benessere dell’Italia per entrare nell’Unione europea e adottare l’euro.
Gli eurocrati si preparino stavolta, perché se vorranno difendere a tutti i costi l’euro, saranno loro a pagarne il conto.
Qualsiasi ulteriore passo in più verso l’austerità ordo-liberale, porterà ad una generale rivolta dei popoli europei contro l’euro e contro le democrazie liberali a difesa delle oligarchie finanziarie.
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