Giovedì 10 luglio, nel corso della sessione plenaria, il Parlamento europeo sarà chiamato ad esprimersi sulla mozione di sfiducia verso la presidente della Commissione UE, Ursula von Der Leyen. L’iniziativa è stata presa dal parlamentare romeno Gheorghe Piperea, che fa parte del gruppo dei conservatori Ecr, lo stesso di Fratelli D’Italia. L’iniziativa ha raccolto 5 adesioni in più rispetto alle 74 indispensabili per superare la soglia di ammissibilità.
La mozione accusa la presidente di “mancanza di trasparenza” e “cattiva gestione” della pandemia, con particolare riferimento al caso Pfizergate: lo scambio di messaggi privati tra la presidente e il capo di Pfizer, Robert Bourla, per concordare il monumentale acquisto dei vaccini Covid. Recentemente il tribunale UE si è pronunciato sulla vicenda, rilevando l’assenza di un’adeguata giustificazione alla mancata mancata pubblicazione dei messaggi. Tra i punti contestati alla Von der Leyen c’è anche lo spreco di 4 miliardi euro di vaccini mai utilizzati e l’uso politico del Digital Service Act.
A differenza di quanto avviene nel parlamento italiano, per passare la sfiducia dovrebbe raccogliere ¾ dei voti presenti in aula, dunque le possibilità che la presidente venga sfiduciata sono minime. I popolari (Ppe) rimarrano compatti attorno a von der Leyen, i liberali (Re) non dovrebbero far mancare il proprio sostegno. I socialisti (S&D) e i Verdi, nonostante qualche mugugno sul piano di riarmo europeo, rendono noto di non voler votare una mozione presentata dalla destra. Fratelli d’Italia, nonostante l’appartenenza al gruppo ECR, prevedibilmente non voterà la sfiducia per tutelare il ruolo da vice-presidente di Raffaele Fitto.
L’ultima mozione di sfiducia a un Presidente di commissione era stata presentata nel 2014 contro Jean Claude Junker, per lo scandalo LuxLeaks. Un’inchiesta giornalistica aveva svelato che il governo del Lussemburgo, tramite accordi fiscali segreti aveva garantito a centinaia di multinazionali e grandi banche la possibilità di pagare imposte irrisorie sui profitti, spesso inferiori all’1%, spostando i capitali attraverso il Granducato anche se le attività venivano svolte in altri paesi europei. La mozione fu respinta con 461 voti contrari, 101 favorevoli e 88 astensioni, ben lontano dalla maggioranza richiesta
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