Per accedere a Punta Molentis serve lo Spid. È quanto racconta oggi L’Unione Sarda, che in un articolo spiega come la celebre spiaggia del sud-est isolano sia diventata emblema del caos balneare estivo in Sardegna. Sì, perché per garantirsi un posto su quella lingua di sabbia da cartolina occorre registrarsi online e anche dimostrare digitalmente la propria identità. Una condizione impossibile per molti turisti stranieri, e a tratti grottesca per gli stessi italiani non particolarmente inclini alla burocrazia virtuale.
Non è questione di tutela ambientale – quella non è in discussione. Il problema è la modalità, il metodo, l’anarchia organizzativa con cui le undici spiagge “a numero chiuso” in Sardegna, da Tuerredda a Cala Mariolu, da La Pelosa a Biderosa, hanno scelto regole tutte loro. Nessuna uniformità, nessuna regia. Ogni Comune un feudo, ogni spiaggia un enigma. I turisti navigano più portali di quanti siano i traghetti che li hanno portati fin qui. E ogni click può essere fatale.
La Regione, dal canto suo, ha promesso un unico sito che raccolga tutte le informazioni. I numeri parlano chiaro: oltre il 92 per cento dei turisti viene in Sardegna per il mare. Ma la sensazione è che rischino di trovarlo chiuso per ferie, o per login mancato.
C’è un’idea, nella Giunta regionale, di trasformare la Sardegna da terra di fugaci assalti estivi a meta di qualità, distribuita nell’arco dell’anno. Archeologia, gastronomia, religione e natura dovrebbero compensare il meteo capriccioso e spezzare la dittatura delle sette settimane di luglio e agosto. Un progetto ambizioso, forse necessario, ma ma di non facile realizzazione
Intanto, tra ambientalisti che predicano l’educazione dei visitatori e imprenditori che chiedono più servizi per rendere il numero chiuso una risorsa e non un deterrente, resta lo Spid. Chi ce l’ha, entra. Gli altri, si accontentino di guardare la spiaggia in foto. (ilsarrabus.news)
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