Se si dovesse pensare allo scenario nel quale ambientare un giallo, forse Garlasco non sarebbe il primo posto che verrebbe in mente.
Un piccolo paesino di 9mila anime del pavese che era sconosciuto fino al 13 agosto del 2007, anno nel quale venne compiuto il delitto di Chiara Poggi, una 27enne impiegata originaria di Vigevano, uccisa con un oggetto contundente, ancora oggi mai ritrovato, forse un attizzatoio o una mazzetta di quella che vengono usate nei cantieri dai manovrali.
Nelle pagine della versione ufficiale fornita dalle autorità investigative del posto e dalla procura di Pavia, si apprende che il primo a scoprire il cadavere di Chiara è stato il suo fidanzato, Alberto Stasi, che giunse nella casa nel primo pomeriggio.
Alberto Stasi non sembra contraddirsi nei primi momenti e in seguito. Afferma di aver rinvenuto il corpo della ragazza in un pozza di sangue, di aver prestato attenzione a dove metteva i piedi per non sporcare le scarpe di sangue, nel tentativo forse di non inquinare la scena del delitto, e spiega subito sin dal primo istante che lui nell’ora nella quale si pensa sia stato consumato l’omicidio, era nella sua casa, a lavorare alla sua tesi di laurea.
Nel suo computer c’erano le prove che stesse dicendo il vero, eppure non appena gli inquirenti mettono mano al suo PC, accade una cosa strana, una di quelle che fa pensare che oltre all’incompetenza forse possa esserci qualcos’altro.
I tecnici, secondo quanto viene riferito dalle autorità inquirenti, avrebbero fatto un marchiano errore che ha cancellato tutti gli accessi fatti da Stasi e così la prima prova che avrebbe subito potuto scagionare Stasi va in fumo, in una manovra degli investigatori che ancora non è stata esaminata da altri investigatori per capire effettivamente cosa possa essere accaduto.
Si mette così in moto la macchina giudiziaria della procura di Pavia che considera il fidanzato di Chiara il responsabile dell’omicidio della sua ragazza, nonostante l’impianto accusatorio appaia debole, fragile e persino contradditorio se si pensa che esso si basa in larga parte sul fatto che Stasi non poteva non avere macchie di sangue sulle sue scarpe una volta entrato sulla scena del delitto, e che il giovane le avrebbe cambiate una volta tornato alla sua abitazione che distava circa un chilometro e mezzo.
Ci sarebbe inoltre un altro problema come quello dei vestiti, perché se è Stasi l’assassino come afferma la procura di Pavia, allora lui avrebbe dovuto essere uscito da quella villetta zuppo di sangue che avrebbe dovuto essere sui vestiti e sul suo corpo, oppure avrebbe dovuto portare con sé altri abiti puliti da indossare una volta compiuto il delitto contro la sua fidanzata.
Il bagno privo di tracce di sangue
In un articolo dello scorso 2 luglio pubblicato su Inside Over, si comprende subito perché tale ipotesi non sia neanche lontanamente verosimile.
Gli inquirenti non hanno trovato tracce di sangue nel bagno di Chiara Poggi, nel quale il presunto assassino avrebbe dovuto lavarsi una volta eseguito l’omicidio, ma nessuno lì si è tolto il sangue di dosso perché nel lavandino e nel contenitore del sapone, non ci sono tracce ematiche.
A volerla dire tutta, l’inchiesta della procura di Pavia più che provare la colpevolezza di Stasi ne sostiene involontariamente l’innocenza, e una volta che la parola passa ai giudici chiamati a stabilire o meno la colpevolezza del presunto assassino, l’impianto accusatorio si sgretola, si frantuma in tanti pezzi perché esso è fondato su deboli elementi indiziari che non sono in grado di affermare che l’ex fidanzato di Chiara Poggi abbia ucciso la giovane impiegata.
Stasi viene assolto non una, ma due volte, in primo grado e in appello, e allora qui sarebbe anche il caso di aprire una breve riflessione su cosa sia necessario fare per mettere fine ad un processo nei confronti di una qualunque persona, quando essa ha ricevuto non una, ma due assoluzioni.
La Cassazione cestina tutto. Si riparte da capo perché forse da qualche parte c’è la volontà di addossare la colpa dell’omicidio a Stasi per scrivere la parola fine su un delitto scomodo, ingombrante ben lontano dalla banale caratterizzazione che ne danno gli organi di stampa.
Ad esempio, se si dovesse dire cosa non è il delitto di Garlasco, si dovrebbe partire dalla definizione che ha dato il 21 maggio scorso Luigi Manconi sulle colonne di Repubblica.
“«Si tratta di un delitto assoluto. (…) Sullo sfondo nessuna marginalità sociale, nessuna figura borderline, nessuna radice ambientale, nessuna causa psicopatologica che aiuti a spiegarlo. Ma forse è proprio questo a motivare tanto interesse e tanto morboso zelo nel seguire le ricostruzioni vere e quelle verosimili e, ancora di più, quelle decisamente inaudite. Ecco, questo è un crimine perfettamente “piccolo-borghese”.»
Manconi, involontariamente, ha fornito la perfetta descrizione di quello che non è tale delitto nel suo maldestro tentativo di voler banalizzare tale vicenda e ridurla soltanto ad un insolito giallo irrisolto di periferia che suscita la morbosa curiosità dell’opinione pubblica, sedotta dal mistero di un caso di cronaca nera.
Se il pubblico mostra un certo interesse per tale vicenda è perché sa che Stasi non è il colpevole, e che sotto questa morte, c’è qualcosa di più che gli inquirenti non vogliono o non possono cercare.
Se si fosse guardato alla scrivania di Chiara Poggi, si sarebbero potuti subito trovare quegli elementi che mostravano che questa ragazza non era proprio una impiegata qualunque, ma che aveva a disposizione delle conoscenze e dei codici telefonici riservati che sulla carta mai avrebbe dovuto avere.
Sulla scrivania della giovane c’era infatti un bigliettino con il numero “4146” e uno strano messaggio con scritto “Il telefono del detective squillò Dreen. 4146, una soffiata”.

Il bigliettino di Chiara con il codice 4146
Cosa significa? Secondo quanto riferisce Luigi Grimaldi, ex collaboratore delle Iene, questo codice era in uso a dipendenti del ministero dell’Interno per far addebitare i costi delle chiamate al ministero dell’Interno.
Chiara Poggi non risultava avere ufficialmente una collaborazione con il Viminale né con i dipartimenti delle forze dell’ordine, e allora la cosa più naturale da fare era quella di accertarsi se la ragazza avesse una qualche consulenza o collaborazione con il ministero dell’Interno per scoprire l’eventuale vero movente di questo delitto.
Chiara non faceva ricerche propriamente normali sul suo computer. Era interessata ad argomenti quali pedofilia, utilizzo di cocaina, e omicidi insoluti proprio come quello che purtroppo capitò a lei quel giorno di agosto del 2007.
Gli inquirenti però non sembrano dare alcun peso a tale pista, e ci sarebbe da chiedersi perché tale informazione viene alla luce soltanto ora, dopo tutti questi anni?
Stessa considerazione può farsi per quegli strani suicidi avvenuti sempre a Garlasco che lasciano pensare che in questa piccola località del pavese, fosse all’opera una setta satanica mai sfiorata dagli inquirenti.
Sembrava quindi esserci la volontà di non indagare su tali piste e di continuare invece a far ricadere la colpa su Stasi, e la stessa ferma determinazione sembra essere condivisa dall’avvocato della famiglia Poggi, Gianluigi Tizzoni, di voler considerare a tutti i costi come Alberto colpevole, nonostante la citata debolezza delle prove a suo carico.
Nel dicembre del 2012, si ha un esempio di questa incrollabile volontà.
Ad Alagna, a casa della madre di Riccardo Sindoca, ha luogo un singolare vertice al quale partecipano l’avvocato della famiglia Poggi, il citato Tizzoni, lo stesso Sindoca e il maresciallo dei carabinieri, Francesco Marchetto.

Riccardo Sindoca
Sindoca è certamente un personaggio che non passa proprio inosservato.
Ex agente dei servizi segreti arrestato nel 2005 per associazione a delinquere e iscritto, guardacaso, alla massoneria, non è chiaro, e non sembra essere stato abbastanza chiarito, il suo interesse nel caso della morte di Chiara Poggi, ma sta di fatto che quando Marchetto fa notare nel corso della discussione che le indagini sul delitto erano state fatte con i piedi e che non si era indagato a fondo sulla famiglia Cappa, e su una bicicletta nera vista sul muro della casa dei Poggi che forse poteva essere quella in uso ai Cappa, l’avvocato Tizzoni si irrigidisce e dichiara che è stato certamente Alberto a commettere il delitto.
Nemmeno un mese dopo quell’incontro, Marchetto subisce un esposto da parte di Tizzoni per falsa testimonianza dopo che era stato già rimosso dall’inchiesta per la sua volontà di indagare piste apparentemente “proibite”.
Stessa determinazione di voler continuare a far credere che Stasi sia colpevole sembra esserci da parte padre delle gemelle Cappa, Ermanno, avvocato, che, come emerge da alcune intercettazioni, organizza un incontro a Roma con alcuni deputati, ancora non identificati, per attaccare Vittorio Feltri, oggi direttore del Giornale, che non aveva ventilato la colpevolezza delle sorelle Cappa, ma soltanto credeva nella ferma innocenza di Alberto Stasi.
I Cappa evidentemente devono aver delle entrature politiche di non poco rilievo, considerato questo incontro con alcuni parlamentari, e considerato anche il fatto che una delle gemelle, Stefania, è sposata con Emanuele Arioldi, nipote della celebre famiglia Rizzoli.

A sinistra, Chiara Poggi, a destra le gemelle Cappa
Le intercettazioni di Ermanno Cappa probabilmente erano note già anni addietro ma che vengono fuori soltanto ora mentre i vari Youtuber che trattano il caso parlano soltanto ossessivamente di Sempio, scagionato già 8 anni prima, senza interessarsi di tutto il resto e degli altri nomi, forse ben più pesanti.
Sempio è soltanto un depistaggio per coprire altri personaggi più potenti?
Lo si vedrà presto, ma è comunque chiaramente del tutto evidente che si sono rotti gli argini, che vecchi equilibri del passato sono venuti meno, altrimenti viene difficile pensare che questo caso sia stato riaperto così, dal nulla, senza provare minimamente a prendere in considerazione il contesto generale.
L’effetto domino di Garlasco: si riapre il caso del mostro di Firenze?
Sui quotidiani si iniziano infatti a leggere sempre più frequentemente le richieste di revisione di altri processi del passato, come, ad esempio, i delitti del mostro di Firenze per i quali si condannarono quelli che nelle province sono noti come gli “scemi del Paese” come il postino Vanni detto Torsolo, Pacciani detto i Vampa, assolto in appello e morto in circostanze mai chiarite, Giancarlo Lotti e Fernando Pucci.

Da sinistra a destra: Mario Vanni, Pietro Pacciani e Giancarlo Lotti
Alcuni di questi, come Pucci, erano persino affetti da un grave ritardo mentale, eppure nulla ferma i magistrati inquirenti nel considerare questi quattro improbabili personaggi come i responsabili dei delitti più efferati della storia d’Italia.
I quattro compagni di merende si sono trasformati in raffinati chirurghi in grado di asportare il pube delle vittime femminili, una operazione non proprio da dilettanti, e sempre costoro avrebbero poi disseminato le scene del delitto di alcuni elementi esoterici e massonici che davano tutt’altra connotazione al delitto.
Già, la massoneria. Esce sempre puntualmente fuori. Laddove c’è un caso irrisolto, un delitto con connotazioni pedofile e rituali oppure un altro, come quello di Chiara, dove forse c’era da coprire qualche segreto inconfessabile questa forza si mette all’opera e fa di tutto per sopprimere la verità.
La massoneria e quelle sentenze aggiustate
Soltanto per dare un esempio tra i moltissimi ai quali si potrebbe attingere, c’è quello più recente della loggia massonica coperta chiamata Rinascita Scott, il cui capo era il massone Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia, condannato in primo grado a 11 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.

Giancarlo Pittelli
Rinascita Scott assomiglia molto ad una di quelle superlogge sulle quali indagava molti anni fa il magistrato di Palmi, Agostino Cordova, prima che la sua inchiesta fosse uccisa dalla moglie di Bruno Vespa, il GIP, Augusta Iannini, all’epoca attiva presso la procura di Roma che si è guadagnata, non a caso, l’appellativo di “porto delle nebbie”.
Tale loggia era apparentemente in grado di aggiustare i processi a carico dei vari mafiosi e massoni, ma si è chiaramente di fronte soltanto ad un granello di sabbia di una ben più enorme distesa arenaria.
Nessuno si chiede quanti altri processi siano stati aggiustati dalla massoneria non negli ultimi 5 anni, ma negli ultimi 50, se si considera che il potere di questa società segreta è cresciuto enormemente dal secondo dopoguerra in poi fino a diventare esso il vero Stato.
Si ripropone così periodicamente il problema insito nella democrazia liberale che afferma di voler difendere l’associazionismo e consente in tal modo, non ad un circolo di bridge, ma ad un potentissimo comitato d’affari che non rivela i propri iscritti e che considera le sue direttive poste al di sopra delle leggi dello Stato, di esistere.
In tali condizioni, è inevitabile arrivare al punto che la massoneria fagociti lo Stato e che diventi essa il vero Stato che decide quali processi istruire e quali no, quali decisioni politiche adottare e quali no, e su quali “valori” si debba fondare la società.
Considerato che la natura della libera muratoria è irrimediabilmente anticristiana e anticattolica, non deve sorprendere che la società diventi laica prima e satanica poi, in quanto la massoneria è a questo che vuole approdare.
Vuole approdare alla scristianizzazione della società e alla conseguente fine della sovranità nazionale, da consegnare ad altri poteri transnazionali per poter erigere la tanto agognata repubblica universale massonica.
Il momento storico attuale però è particolarissimo e se esso non viene letto con la dovuta attenzione, appare impossibile comprendere perché vecchie inchieste chiuse nei cassetti adesso inizino a riaprirsi improvvisamente e perché adesso escano fuori d’incanto altre piste che 15 anni fa non erano stato nemmeno prese in considerazione.
C’è una guerra feroce dentro la massoneria italiana, e da quando tale guerra è iniziata sono iniziati a verificarsi degli strani “suicidi” e omicidi ancora oggi irrisolti come quello del rettore della Cattolica, Franco Anelli, e di Angelo Onorato, l’imprenditore siciliano marito della ex deputata della Lega , Francesca Donato.
E in concomitanza di tale guerra, adesso, casualmente, iniziano ad aprirsi delle crepe nella magistratura tanto che è finito sotto inchiesta per rivelazione di segreto d’ufficio il magistrato della procura di Roma, Michele Prestipino, il cui nome era già comparso qualche tempo addietro nell’ambito del caso Palamara, e che ordinò, tra le altre cose, il sequestro del cellulare del titolare di questo blog.
Prestipino a poca distanza di tempo dall’inizio dell’indagine nei suoi confronti, ha subito lasciato la magistratura, segno che qualcosa nel mondo delle toghe si sta rompendo e che dei vecchi equilibri del passato stanno venendo meno.
La forza che ha avuto in mano le chiavi del potere in Italia dal 1945 in poi per volontà degli angloamericani, la citata massoneria, si sta letteralmente sgretolando.
Le due massonerie di palazzo Giustiniani e di piazza del Gesù, rispettivamente quella del Grande Oriente d’Italia e quella del Rito Scozzese Antico e Accettato, si stanno facendo una guerra spietata e senza quartiere e si sono già separate dopo la contesa, ancora non risolta, sulle elezioni del 2024 per decidere chi doveva essere il nuovo Gran maestro del GOI al posto di Bisi.
Dopo la separazione dello scorso aprile, e dopo l’alleanza del Rito Scozzese con la Gran Loggia Regolare d’Italia, guidata dal Gran maestro Fabio Venzi, altre logge del Grande Oriente stanno lasciando tale rito per unirsi a quello di Venzi.
E’ la diaspora della massoneria italiana che difficilmente si rimetterà in piedi perché dove c’è uno scisma spesso c’è un altro e così via in quella che pare essere la irreversibile fine della libera muratoria in Italia, così profonda da non metterne soltanto in discussione il vecchio potere, ma l’esistenza stessa, considerata la gravità di tale crisi.
Non si aprono vecchi cassetti per caso. Non escono dall’armadio i segreti del passato soltanto per il vezzo di qualcuno di aprire ciò che prima nessuno voleva aprire.
Il sistema politico giudiziario italiano nelle mani della massoneria è entrato in una faida violenta, dura e profonda che potrà soltanto peggiorare con il passare dei mesi perché i vecchi garanti atlantici oggi non ci sono più, spazzati via dall’era di Donald Trump.
La massoneria italiana sembra entrata chiaramente marciare verso la sua autodistruzione e ora i massoni che prima si proteggevano faranno emergere gli uni i segreti degli altri nel tentativo di annientarsi a vicenda.
Garlasco sembra quindi essere soltanto l’inizio del vaso di Pandora.
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