L’immagine è quella del viso rotondo del signore dei narcos, Pablo Escobar, che guida sfavillanti auto sportive nelle sue immense fincas, delle tenute agricole che il trafficante di cocaina più famoso e ricco della storia aveva in diverse parti della Colombia.
Il ritratto che la cinematografia hollywoodiana ha costruito di Escobar è quello del puro stereotipo del narcotrafficante che vive immerso in un mare di lusso e di violenza.

La hacienda Napoles, uno dei luoghi storici dove Escobar organizzava le sue feste
Verso la metà degli anni’70, Escobar aveva 26 anni, ed era il classico tirapiedi della criminalità organizzata che operava in Colombia, seppur ad un livello nemmeno lontanamente immaginabile di quello che diventerà nel decennio successivo.
Dopo aver lasciato l’università Autonoma Latinoamericana, Escobar inizia la sua carriera di piccolo delinquente attraverso la vendita di falsi biglietti della lotteria, per passare poi ad azioni ancora più violenti quali i sequestri di persona.
Se si legge la versione ufficiale della storia di Escobar, si apprende che nel 1976, il paisa di Medellin avrebbe fondato il famigerato cartello della celebre città colombiana, un’organizzazione che diventerà la principale esportatrice di droga verso gli Stati Uniti e il mondo intero.
Medellin diventa così improvvisamente il centro di produzione ed esportazione della cocaina nel mondo, ed Escobar riesce a guadagnare negli anni’80 qualcosa come la incredibile cifra di 420 milioni di dollari a settimana, che annualmente sono circa 22 miliardi di dollari all’anno.
Se si calcola tale cifra al netto dell’inflazione degli ultimi 45 anni, i numeri diventano ancora più assurdi.
Escobar guadagnava l’equivalente di 86 miliardi di dollari all’anno.
Se si facesse una lista Forbes dei tempi odierni a fianco ai nomi dei magnati più famosi, o famigerati, del pianeta quali il signore dei vaccini, Bill Gates, Warren Buffett, e il sultano del Brunei, bisognerebbe mettere il nome del trafficante di Medellin che in 5 o 6 anni di attività sarebbe in grado di diventare persino più ricco di tali personaggi.
A seguire la narrazione fatta appunto da case di produzione cinematografica come Netflix, verrebbe da pensare che Pablo Escobar sia diventato uno degli uomini più ricchi del mondo, perché ha avuto la sagacia e l’astuzia di conquistare il mercato della droga del suo Paese, ma ovviamente l’industria dell’intrattenimento vuole dare al suo pubblico una storia di copertina, o meglio una favoletta per nascondere il fatto che dietro il traffico di droga ci sono interessi e poteri ben più grossi del capo di un cartello.
I cartelli o le associazioni mafiose sono soltanto l’ultimo gradino di una piramide la cui cima va molto più in alto, e tocca gli apparati dei servizi di intelligence angloamericani, grandi banche d’affari e potentissime logge massoniche che si incaricano di coordinare, gestire e comandare il fenomeno mafioso dal principio alla fine.
La droga è un sistema complesso ed organizzato della quale l’opinione pubblica conosce soltanto il piano inferiore, quello composto dalla manovalanza, che viene ricambiata di continuo attraverso omicidi tra bande rivali o arresti a orologeria, per dare l’impressione all’uomo della strada che le autorità stiano facendo qualcosa per contrastare il traffico di stupefacenti, ma ormai forse dovrebbe essere lampante che a gestire lo spaccio non è Francesco Schiavone detto Sandokan o Totò Riina detto u’ curtu.
Costoro sono soltanto i gregari dell’immenso potere che si cela dietro la droga, ed Escobar era parte di questo complesso meccanismo.
A fare la fortuna del cartello di Medellin, non è stata soltanto la spietatezza dell’uomo, ma principalmente gli appoggi in alto che Escobar aveva ricevuto sin dal principio della sua carriera.
Pablo Escobar: il trafficante costruito dalla CIA
A distanza di molti anni, suo figlio, che oggi vive dietro lo pseudonimo di Juan Sebastian Marroquì, racconta l’inferno vissuto in quegli anni da lui e dalla famiglia del boss mafioso, che verso gli ultimi anni della sua carriera da trafficante, era costantemente in fuga.
Juan Sebastian nel suo libro pubblicato nel 2018 e intitolato “Pablo Escobar in fraganti” rivela che suo padre era al servizio della CIA sin dai primi istanti della sua carriera da narcotrafficante.

Pablo Escobar
A fornire l’assistenza necessaria per esportare la droga verso gli Stati Uniti, la rete di contatti necessaria, e soprattutto la protezione delle autorità, era la famigerata agenzia di Langley che ha una storia con il narcotraffico che risale ad almeno 15 anni prima della comparsa di Escobar sulla scena mondiale, quando negli uffici dell’agenzia c’era già un personaggio come George H. Bush.
George H. Bush viene da una famiglia potentissima delle élite americane.
I Bush sono parte del potere che conta in America, ed è tradizione di famiglia, dai tempi del padre di George H., Prescott, che i giovani Bush vengano iniziati presso la setta esoterica e massonica di Skulls & Bones, della quale fanno parte tanti altri “illustri” personaggi dell’establishment statunitense, come l’ex presidente Taft, un membro della ubiqua famiglia Rockefeller, Avery, oltre ovviamente allo stesso George H. e suo figlio George W., entrambi presidenti degli Stati Uniti ed entrambi membri di questo oscuro club.
Il narcotraffico nasce a Langley
Viste le pesanti “credenziali”, non è difficile per George H. entrare subito a Langley, ed è nel 1966 che l’allora direttore della CIA, Richard Helms, decide di assegnare all’allora giovane Bush il compito di smistare l’oppio della Cina verso i cinque continenti, dove poi sarebbe stato raffinato in eroina e distribuita a tutti i giovani del pianeta che si stavano avvicinando al mondo della droga.
La famigerata drug culture non è un fenomeno nato sulla chitarra di qualche musicista dei Beatles, oppure su quella di Jimi Hendrix.
Alla musica rock è stato dato il compito di essere piuttosto il veicolo per far avvicinare le masse alla droga e spingere le nuove generazioni verso uno stile di vita estremamente nichilista e autodistruttivo quale quello dell’uso di stupefacenti, per creare un tipo di gioventù senza valori ed estremamente manipolabile, esattamente come la desideravano i filosofi della scuola di Francoforte.
C’era dunque senza dubbio un progetto di ingegneria sociale, e un altro di natura più venale che prevedeva la distribuzione dei proventi della droga tra i vari produttori di stupefacenti e i membri della CIA che usavano quei soldi per finanziare le famigerate black ops in giro per il mondo, che prevedevano colpi di Stato, omicidi e guerre contro tutti quei nemici dello stato profondo e di quella struttura della quale fanno parte la finanza internazionale e le corporation dell’industria militare.
Escobar non è altro, come si vede, che un figlio delle esigenze della CIA.
Se gli anni’70 sono stati negli Stati Uniti e in Europa principalmente il decennio della eroina, negli anni’80, inizia ad essere distribuita sempre di più un’altra micidiale droga, come la cocaina, che inizia gradualmente a prendere il posto del derivato oppiaceo.
I Paesi dell’America Latina per via delle loro elevate altitudini si rivelano ideali per la coltivazione della pianta della coca.
La Colombia diventa così uno dei centri “privilegiati” per la esportazione della cocaina, e il personaggio Escobar è soltanto il risultato diretto di una decisione presa ad un piano molto più superiore del suo cartello.
Se Escobar negli anni’80 diventa il signore della Colombia, ciò è stato possibile perché a Langley c’erano personaggi come Bush, diventato nel frattempo vicepresidente degli Stati Uniti nel 1981 con l’amministrazione Reagan e presidente dal 1988.
I signori che avevano gestito il traffico di droga nella CIA erano quindi arrivati a sedere sul gradino più alto del potere politico in America.
Escobar intanto seminava nel suo Paese una lunga scia di violenza e caos, che iniziò a sollevare qualche problema a Washington perché ormai il figlio dell’intelligence americana aveva accumulato tanto potere che non esitava ad usarlo senza scrupolo alcuno come fece quando ordinò di far esplodere un aereo, il volo 203 dell’Avianca, sul quale avrebbe dovuto esserci a bordo il leader politico Cesar Gaviria, successore di Luis Carlos Galan, già assassinato dal cartello per aver messo fine alla carriera politica del patron.
Israele: lo stato ebraico alleato dei narcos
Il boss colombiano però non fu mai lasciato solo da altri suoi eccellenti amici, nemmeno fino all’ultimo istante della sua vita, quando venne ucciso, o suicidatosi secondo altre versioni, dalla polizia colombiana nel 1993 correndo sui tetti di Medellin, una immagine che venne immortalata anche dal celebre pittore colombiano Fernando Botero.
Anche negli ultimi istanti della decadente parabola di Escobar, c’era chi si assicurava di far arrivare al boss e ai suoi uomini armi come i Galil, fucili d’assalto fabbricati da Israele.
Lo stato ebraico aveva già iniziato a lavorare con il cartello di Medellin nei primissimi anni’80.
Ad addestrare i sicari del cartello c’era il colonnello dell’esercito israeliano, Yair Klein, che rivelò come l’intera operazione fu autorizzata e voluta dal Mossad.

Il colonnello Klein
Se la CIA aveva tutto l’interesse di gestire e incoraggiare il fenomeno della droga, Israele condivideva e condivide lo stesso obiettivo, tanto da mandare i suoi uomini a fornire la necessaria preparazione militare, oltre agli armamenti necessari, per diventare degli Stati dentro gli Stati.
Si può vedere quindi come non ci sia nulla di spontaneo nella nascita di questi gruppi della droga, che sono sempre stati curati e gestiti da apparati ben più potenti e organizzati come quelli dei servizi che una volta incassata la loro fetta di profitto, la depositavano in quello che è un altro compartimento del sistema, quello delle citate banche di affari.
A lavare i soldi sporchi della droga sono colossi bancari del calibro della HSBC, della Chase Manhattan Bank di Barclays e di Deutsche Bank.
Se si risale poi all’azionariato che detiene le quote di queste banche, si incontra il solito duo rappresentato dai fondi di investimento BlackRock e Vanguard, dentro i quali, come in un gioco di scatole cinesi, ci sono i nomi dei Rothschild, dei Rockefeller, dei DuPont, dei Morgan e degli Schiff.
Nel sistema della droga si vede evidentemente come esiste una catena che dal basso arriva fino agli uomini più potenti e ricchi del pianeta che non di rado organizzano “serate di beneficenza” per devolvere fondi a presunte cause umanitarie, e poi, spente le luci delle occasioni di gala, tornano a lavare i soldi sporchi della droga e contribuiscono alla morte di decine di migliaia di persone attraverso la distribuzione di letali stupefacenti.
I cartelli messicani addestrati da Israele
Cambiano le epoche, cambiano gli attori al piano inferiore, ma i registi dietro le quinte restano sempre gli stessi.
Se negli anni’80 al centro del traffico mondiale c’era la Colombia e la cocaina di Pablo Escobar, oggi, al posto della Colombia c’è il Messico e i suoi pericolosissimi cartelli della droga che producono certamente cocaina, ma anche altre droghe ancora più pericolose, come la sintetica fentanyl, responsabile di numerose morti negli Stati Uniti.
Entrare nel mondo dei cartelli messicani, significa entrare nel museo degli orrori.
La violenza che producono questi gruppi è bestiale, orripilante e barbara perché i vari gruppi che gestiscono lo spaccio nelle varie regioni del Paese vogliono spaventare l’avversario e indurlo a non mettersi sulla strada dell’altro cartello rivale.
Si vedono così decapitazioni, smembramenti, persone che vengono scuoiate vive e altre sciolte nell’acido in una spirale di violenza forse persino più micidiale prodotta dalla famigerata ISIS.
Anche qui però si incontrano i soliti sospetti.
I cartelli messicani non sono nemmeno lontanamente un fenomeno spontaneo come provano a far credere i soliti organi di stampa Occidentali.
Sono anch’essi il risultato di una volontà di apparati dei servizi che li hanno aiutati a diventare i potenti gruppi che sono ora.
Ancora una volta nella genesi di questi gruppi si trova sempre lo stato ebraico.
Ad addestrare i cartelli messicani e spiegargli persino come devono fare per distruggere i corpi con l’acido solforico sono gli “esperti” che Israele manda nel tormentato Paese per allenare i vari macellai dei cartelli, come ha rivelato il giornalista messicano Oscar Ramirez.
Santiago Meza è un nome purtroppo tristemente noto in Messico.
El Pozolero, il soprannome che gli era stato affibbiato dalla parola “pozole”, che in Messico significa stufa, spiega la sua “abilità” nel fare delle sue vittime degli spezzatini, ma Mesa non si è addestrato da solo nell”arte” di far sparire le persone dentro l’acido.

Santiago Meza, el Pozolero
A dargli la preparazione necessaria sono stati i militari israeliani che lo hanno persino fatto venire nello stato ebraico, per assicurargli tutto l’allenamento di cui aveva bisogno.
Allo stato ebraico i cartelli messicani stanno molto a cuore.
Israele si premura di mandare da molti anni le armi a questi gruppi criminali.
Nel periodo che va dal 2006 al 2018, da Israele al Messico sono giunte almeno 24mila armi che sono state decisive per seminare quella lunga e interminabile scia di sangue che bagna il Paese da molti anni.
Oltre alla potenza di fuoco necessaria per avere in mano il Messico, Israele si è anche premurata di dare ai cartelli la tecnologia dei propri sistemi di intercettazione per spiare gli apparecchi del governo americano.
Israele voleva che i cartelli diventassero le micidiali macchine da guerra che sono diventate oggi perché la droga corrompe i Paesi che si vogliono controllare, e fa affluire nelle tasche del vero potere somme da capogiro.
Il potere dei cartelli messicani è così vasto oggi che lo stesso presidente del Messico, Claudia Sheinbaum, il primo di origini ebraiche nella storia del Paese, è stato accusato dal senatore messicano, Lilly Tellez, di essere stata direttamente finanziata dai cartelli della droga.
Il potere politico è parte integrante del narcotraffico, e viceversa, ma sopra questo apparato si trova sempre costante la presenza dei servizi angloamericani, di Israele e delle grandi famiglie della finanza mondiale.
Si possono quindi capire perché le varie “guerre alla droga” siano state soltanto un fallimento e perché ogni anno, in Europa e negli Stati Uniti, continuino a entrare centinaia di tonnellate di droga.
La guerra alla droga non potrà mai essere vinta se si continua soltanto a colpire l’ultimo gradino del sistema.
La guerra sarà vinta quando si inizieranno a colpire i veri signori della droga, coloro che sono i proprietari delle grandi banche di investimento internazionale e coloro che negli apparati dei servizi forniscono armi e e addestramento ai vari cartelli.
I veri signori della droga sono loro.
Fonte: https://www.lacrunadellago.net/i-signori-della-droga-israele-la-cia-e-le-grandi-banche-daffari/
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