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    Home»Ogginotizie»La disfatta di Ursula Von der Leyen e l’inevitabile crollo dell’Unione europea
    Ogginotizie

    La disfatta di Ursula Von der Leyen e l’inevitabile crollo dell’Unione europea

    30 Luglio 2025Updated:30 Luglio 202514 Mins Read
    La disfatta di Ursula Von der Leyen e l’inevitabile crollo dell’Unione europea
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    Lo sguardo di Ursula Von der Leyen è apparso contrito, mortificato e fisso a terra.

    Si è presentato così il presidente della Commissione europea in Scozia durante l’incontro all’indomani del disastroso viaggio compiuto in Cina con una delegazione di commissari europei al seguito.

    Si era già capito che l’aria che tirava a Pechino non era per nulla amichevole per i vari rappresentanti europei, sin da quando all’aeroporto la Von der Leyen è stata costretta a raggiungere l’uscita dello scalo attraverso un autobus, come fa qualsiasi comune passeggero, senza gli onori che si tributano generalmente ad un capo di Stato, come, ad esempio, il presidente Putin ricevuto da un imponente corteo di auto blu.

    L’arrivo della Von der Leyen in Cina

    Non è andata meglio nemmeno durante l’inizio delle discussioni con i rappresentanti del governo cinese.

    Secondo gli stessi media mainstream, tra i quali la Reuters, le discussioni tra le delegazioni europee e cinesi sono state accese, alquanto tese, tanto che pare uno dei commissari UE presenti, Kaja Kallas, abbia avuto una reazione a dir poco scomposta che ha fatto saltare la foto di rito finale assieme ai cinesi.

    Ursula è tornata così all’aeroporto di Pechino in condizioni non meno umilianti del suo arrivo, perché i cinesi l’hanno fatto passare per i normali corridoi dello scalo, senza nemmeno riservarle la prerogativa di un passaggio differenziato che spetta generalmente ai diplomatici e ai capi di governo.

    Il disastro è stato completo, sia nella forma sia nella sostanza, poiché se l’intento era quello di riaprire l’antico canale diplomatico con Pechino e ricostituire così l’asse tra l’UE e la Cina, la missione può considerarsi definitivamente fallita.

    La Cina ha chiuso la porta all’UE

    A Pechino, non sono interessati a ritornare alle precedenti relazioni con Bruxelles.

    Dopo la fine della cosiddetta pandemia, la Cina si è sempre avvicinata di più al mondo multipolare e ai BRICS, e ha deciso di iniziare un graduale processo di divorzio dall’anglosfera, culminato con il rimpatrio delle varie corporation angloamericane negli Stati Uniti.

    Pechino è stata probabilmente molto opportunista, perché il suo presidente XI Jinping non ha disdegnato di assegnare alla Cina il ruolo di motore della globalizzazione fino a quando è convenuto al drago cinese, ma quando si è trattato poi di compiere l’ultimo definitivo passo verso l’adesione alla governance globale voluta da Davos, Xi ha semplicemente detto no.

    Si è così innescato un processo di rimozione della vecchia guardia comunista più vicina a personaggi come George Soros, tra i quali c’è sicuramente l’ex presidente Hu Jintao, allontanato pubblicamente nel 2022 da una riunione del partito comunista cinese, su espressa volontà di Xi che voleva dare allo stesso Jintao e a suoi amici d’Oltreoceano un messaggio molto chiaro che non lascia spazio a interpretazioni.

    Hu Jintao espulso dalla riunione del partito comunista cinese

    La Cina ha chiuso con la sua fase globalista.

    Il futuro è nella difesa della sovranità del Paese e nella ferma opposizione a qualsiasi adesione alle varie struttura sovranazionali che Davos voleva creare attraverso il Grande Reset.

    Ursula così, dopo il fallimento cinese, si è diretta nella terra degli Highlander, per raccogliere una umiliazione persino più grande di quella già collezionata a Pechino.

    Alcuni l’hanno definita una Caporetta europea, e difficilmente si può dargli torto se si pensa che il presidente della Commissione europea, non ha praticamente negoziato un bel nulla con il presidente Trump.

    L’UE in balia delle potenze mondiali

    Semplicemente, ha accettato tutte le sue domande, tra le quali c’è quella di investire almeno 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti assieme ad altri 700 miliardi che dovrebbero essere spesi in importazioni di risorse energetiche americane, il tutto per portare a casa un 15% di dazi piuttosto che un 30%.

    Ursula Von der Leyen assieme a Trump

    Sarebbe allora stato meglio prendersi il 30% pieno, ma iniziare a concepire una diversa struttura dell’economia dell’eurozona, che non sia così dipendente dalle esportazioni come hanno voluto i vari e non rimpianti architetti di Maastricht, ma la verità è che la Von der Leyen non sembra nemmeno avere una idea precisa di quello che sta facendo.

    Si limita ad assecondare le richieste di Trump nella speranza che il presidente americano si plachi, ma il capo di Stato americano non è certo uno sprovveduto e sa molto bene che la Von der Leyen non potrà tenere fede agli impegni presi.

    Il presidente della Commissione europea si è infatti impegnato a investire soldi che non vengono dalle tasche del Berlaymont, ma da imprese private europee, prive di alcuna obbligazione nei riguardi di Bruxelles, e dei vari governi europei che dovranno passare prima dai Parlamenti nazionali per ottenere i fondi necessari, anche se non sembra esserci nessuna intenzione da parte dei Paesi europei di mettere sul tavolo delle elevatissime somme che invece potrebbero investite a favore delle varie economie europee.

    Il cancelliere tedesco, Merz, l’uomo di BlackRock, che soltanto fino a poco tempo fa prometteva fuoco e fiamme per l’Ucraina, ha esplicitamente detto che quell’accordo è irricevibile e che raderebbe al suolo la già fiaccata economia tedesca.

    All’Eliseo, dalle parti del presidente Macron, travolto dallo scandalo di sua “moglie” Brigitte accusata di essere un trans, le reazioni sono state altrettanto fredde e distaccate, e si capisce già che Parigi non onorerà l’accordo.

    A distanza di 48 ore dall’accordo, su Politico, uno dei quotidiani più vicini alla Commissione europea, trapelano le parole di alcuni funzionari europei che affermano senza troppi giri di parole che l’UE non è in grado di tenere fede a quell’accordo, e se Ursula quindi pensa che la strategia dell’appeasement con Trump porti da qualche parte, illude soltanto sé stessa.

    Il fallimento del modello dell’export e la svalutazione salariale

    I dazi, prima o poi, andranno al 30%, e non sarà affatto una cattiva notizia per gli italiani e gli europei perché finalmente si sarà costretti a prendere in considerazione dei modelli economici che non siano fondati sul principio così caro a Berlino del “vessa il tuo vicino” fondato su un eccesso di esportazioni che per avere una idea più precisa sulla loro rilevanza, oggi costituiscono il 33% del PIL, mentre nel 1991 esse erano pari soltanto al 17%, e si può chiedere a qualsiasi italiano che viveva a quei tempi come si stava allora rispetto ad oggi.

    Se si adotta il modello delle elevate esportazioni, si finisce inevitabilmente per comprimere i salari, praticamente anemici in Italia soprattutto dopo l’introduzione della moneta unica.

    L’euro è servito precipuamente a questo. E’ una camicia di forza salariale. Suo scopo era quello di abbassare il costo del lavoro e farlo pagare al lavoratore che travolto dal peso di una moneta che non si può svalutare precipita verso la soglia della povertà.

    I numeri sono lì, e non possono essere smentiti.

    Dopo 33 anni di Unione europea e 24 di moneta unica, l’Italia non ha mai avuto così tanti poveri come ne ha avuti ora.

    Sono 5,7 milioni gli italiani in condizioni di povertà assoluta.

    Non si è giunti a tale punto per un incidente di percorso. E’ stata una pianificazione ben precisa.

    La moneta unica non serviva ad assicurare la felicità dei popoli, ma a trascinarli in una spirale di deflazione salariale sempre più intensa fino ad arrivare alla disoccupazione di massa che oggi si maschera in larghissima parte con i giochi di prestigio delle definizioni statistiche, chiamando milioni di disoccupati che vorrebbero un lavoro “inattivi” e considerando “occupati” coloro che lavorano almeno un’ora a settimana che nel “migliore” dei casi sono soltanto dei sottoccupati e nel peggiore persone che lavorano occasionalmente una volta ogni sei mesi.

    La promessa che l’euro avrebbe fatto fiorire un giardino era chiaramente soltanto una bugia, perché oggi si può vedere come la moneta unica abbia invece portato un deserto fatto di senza lavoro e lavoratori a basso salario che oltre a dover sopportare il peso della moneta unica si ritrovano a dover far fronte alla immigrazione di massa, favorita e voluta dal “grande” capitale di Confindustria.

    Non si vede quindi alcuna ragione per la quale ci si debba dolere, ad esempio, per Stellantis che ha portato la sua sede in Olanda, e paga lì le tasse dopo decine di miliardi di euro versati dallo Stato alla FIAT per farla produrre qui, oppure per Ferrero che ha portato la sua sede nel paradiso fiscale del Lussemburgo.

    Non si ha a che fare con degli imprenditori di razza che hanno a cuore la crescita del territorio attorno a loro e che sono grati al Paese che gli ha consentito di fare successo, ma con dei capitani di ventura che si portano via il bottino all’estero e lasciano qui soltanto fame e disoccupazione, mentre ripetono la canzoncina che gli italiani non vogliono più fare certi lavori, quando in realtà li farebbero eccome, soltanto che c’è quell’enorme esercito di riserva di stranieri a buon mercato che li mette fuori mercato.

    E’ impossibile quindi non giungere alla conclusione che tutti i presupposti sui quali si era annunciato il cosiddetto “sogno europeo” si sono rivelati falsi e vacui.

    Sembra ieri che Romano Prodi, gran commis del gruppo Bilderberg e primo sicario dell’IRI, affermava che con l’euro “lavoreremo un giorno in meno per guadagnare un giorno in più” e oggi si vede che con la moneta unica si guadagna meno della metà di quando c’era la lira, quando va bene, perché nell’altro caso non si lavora proprio e non si guadagna nulla.

    Stesso copione recitato da Pierluigi Bersani, il liberalizzatore che regalava le autostrade ai Benetton, che affermava che senza l’euro oggi saremmo “con della carta straccia in mezzo al Mediterraneo”.

    Evidentemente l’ex segretario del PD non ha i problemi del pensionato comune o del semplice operaio che potrebbe ben spiegargli come oggi l’unica carta straccia sia quella dell’euro mentre con la cara vecchia liretta nel 1994, ad esempio, se si avevano in tasca 2 milioni di lire al mese, l’equivalente approssimativo di 1000 euro, si riusciva a mantenere sé stessi e la propria famiglia mentre oggi, con i medesimi soldi, a malapena si mantiene sé stessi.

    Un altro eurista quale Enrico Letta, altro membro del gruppo Bilderberg come Prodi, scriveva nel 1997 il libro “Euro sì. Morire per Maastricht” che lasciava capire che l’Italia avrebbe dovuto pagare un prezzo alto per entrare dentro l’UE e la moneta unica, prezzo che Letta non ha pagato perché lui sedeva dalla parte dei globalizzatori, ovvero coloro che hanno agito per smantellare una delle economie più floride al mondo e vero giardino d’Europa.

    I viaggi della Von der Leyen e i suoi annessi cocenti fallimenti hanno messo ancora più a nudo tali incredibili bugie e fatto capire a molti italiani che il Belpaese, se fosse rimasto fuori dall’euro e dall’UE, oggi conterebbe immensamente di più e avrebbe una posizione pressoché invidiabile rispetto agli altri partner europei.

    La tragedia dell’Italia, e degli altri Paesi d’Europa, è stata quella di avere al suo interno una quinta colonna composta da bilderberghini, membri dell’ISPI, della Commissione Trilaterale, del club di Roma, assieme agli immancabili massoni, rotariani e iscritti ai Lions che tutti assieme costituiscono un grumo che soffoca questo Paese dalle straordinarie risorse e abilità che aspetta soltanto di essere guidato da una vera classe politica degna di questo nome.

    L’Italia non doveva inseguire nessun “sogno” europeo.

    ll giardino lo aveva dentro casa propria ed era rappresentato dal modello dello Stato imprenditore, la compianta IRI, che ha trasformato un Paese ridotto in macerie dalla guerra nella quarta potenza economica al mondo.

    Ancora oggi tale formula economica viene studiata in tutto il mondo per la sua straordinaria capacità di risollevamento delle sorti economiche del Paese.

    Non c’è bisogno di emulare modelli stranieri, ma piuttosto c’è bisogno di riscoprire la ricchezza che c’era dentro l’Italia e che un manipolo di “economisti” usciti dalle “scuole” dei think tank neoliberali hanno provato a seppellire sotto un tappeto di bugie e di propaganda anti-nazionale eurista.

    Un tempo, c’erano dei politici che provavano a dire tali verità e a difendere l’interesse nazionale.

    C’erano uomini del calibro di Bettino Craxi e di Giulio Andreotti, ma costoro sono stati spazzati via grazie all’opera della solita magistratura, controllata dai suddetti poteri, che ha tolto dalla scena coloro che la sovranità del Paese volevano difenderla e lasciato invece posto agli altri, a coloro che volevano distruggerla.

    A distanza di 33 anni dall’ingresso dell’Unione europea e dal colpo di Stato di Mani Pulite, gli scarti della Seconda Repubblica mostrano tutta la loro sempre più insopportabile inadeguatezza e servilismo nei confronti di un sistema, quello comunitario, che di fatto è già morto e superato dalla storia.

    Bruxelles oggi non ha possibilità di sopravvivere perché il blocco europeo si sosteneva grazie all’appoggio di Washington e dal momento che gli Stati Uniti decidono di far venire meno il loro sostegno, nulla può arrestare il declino dell’Unione europea.

    Si ha a che fare in pratica con una sorta di ectoplasma comunitario che già sa che la sua estinzione è inevitabile e il magma che c’è sotto di esso, nel quale c’è anche la classe politica italiana, non si sa bene a cosa sia aggrappato se non ad una nave che sta affondando.

    I tempi ormai sono semplicemente maturi.

    Gli italiani che già 10 anni orsono volevano uscire dall’Unione europea oggi sono più convinti che mai, almeno 3 su 4 si esprime in termini negativi contro Bruxelles, e disconoscono una indegna classe politica che ormai pensa soltanto alla greppia senza curarsi degli interessi del Paese.

    La consapevolezza che ormai è finita l’epoca del globalismo e dell’UE deve però essersi sparsa nei vari compatimenti dell’establishment italiano, impegnato in una furiosa guerra giudiziaria e massonica tra bande.

    Il sistema, semplicemente, è arrivato al suo ultimo stadio e si auto fagocita.

    In tali condizioni, sembra essere una certezza e non una possibilità lo scenario di una uscita dall’Unione europea, soltanto ci si chiede quali altre turbolenze si dovranno superare prima di giungere al traguardo, perché il sistema politico italiano è estremamente instabile e al momento ci sono dei predoni che stanno pensando soltanto a gonfiare il portafogli prima di darsi alla fuga.

    L’uscita ci sarà, ma si spera che il come sia meno problematico del quando, e si auspica che in tale passaggio, ci sia la possibilità di consentire a nuove figure politiche di emergere e di prendere per mano il Paese.

    Intanto non si può registrare una verità storica che dovrà essere contenuta un giorno sia nei libri di testo di storia sia in quelli di economia.

    Non esiste alcun miglioramento per i Paesi che cedano pezzi della propria sovranità, politica e monetaria, a favore di istituzioni sovranazionali.

    Esiste soltanto una condizione coloniale dove a farla da padrone sono soggetti lontani dai confini, sconosciuti all’opinione pubblica, che si servono della quinta colonna interna per dominare e rapinare il Paese al quale poi vengono affibbiati gli enormi costi di mantenimento della baracca comunitaria a suon di accordi come il MES e dei contributi di decine di miliardi di euro che l’Italia versa ogni anno per mantenere Bruxelles.

    Nel territorio del globalismo si finisce con il trovare soltanto povertà, deindustrializzazione, disoccupazione e soprattutto perdita del proprio potere politico che non può essere fatto valere in nessun modo.

    Non sembra più esserci dubbio che ormai il popolo dopo più di 30 anni di “cura” europea ha capito che la prosperità non passa dalla rinuncia al proprio Paese, ma dalla difesa della sovranità e soprattutto della propria identità culturale cristiana, che invece l’UE comunitaria avversa per via delle sue origini liberali e massoniche.

    Può quindi esistere un futuro di rinascita, ma soltanto fuori dall’UE e non all’interno di essa.

    Resta comunque indiscussa quella che appare ormai una evidenza pacifica.

    Maastricht ormai comunque è morta e si spera soltanto che si possa celebrare il suo funerale il prima possibile.

    Fonte: https://www.lacrunadellago.net/la-disfatta-di-ursula-von-der-leyen-e-linevitabile-crollo-dellunione-europea/


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